sabato 24 ottobre 2020

--immersioni: "IL RELITTO DEL PESCHERECCIO"


(82 mt _ 120 min. _ e.c.c.r. _ dil.11/48)

Già in altra occasione evevo provato a tornare sul relitto del motopeschereccio affondato nei pressi del Grosso dell'Isola di Capraia alle Tremiti (FG), però in quell'immersione un fittissimo sedimento sul fondo m'impedì fisicamente d'intercettarlo.
Anche se le premesse non erano buone in quanto Tony, l'amico e titolare del Tremiti Diving Center ci aveva avvisato che da qualche giorno in tutto l'arcipelago sott'acqua c'era cattiva visibilità, abbiamo voluto tentare lo stesso e così la nostra perseveranza alla fine ha dato i suoi frutti.
Iniziato il tuffo proprio a ridosso della verticale falesia rocciosa che all'aria caratterizza il versante settentrionale di questa parte dell'isola, subito ci siamo resi conto che l'amico ci aveva al solito dato la corretta dritta perchè sott'acqua non riuscivamo neanche a vedere la parete che avevamo vicinissima di fronte.
Così senza riferimenti visivi, siamo affondati regolandoci solamente sulle indicazioni della profondità che leggevamo sui display degli strumenti al polso, "atterrando" a circa quarantaquattro metri.
Da quel punto ci siamo posizionati sulla linea di massima pendenza ed abbiamo iniziato a scendere. Le particelle a mezz'acqua però erano diventate ancor più fitte tant'è che il loro forte riverbero, nonostante gli stretti fasci degli illuminatori subacquei, era talmente fastidioso per la vista che per cercare di sbirciare un po' meglio nella semioscurita' a lungo li abbiamo tenuti spenti.
Così siamo giunti ai 70-75 metri, sulle stesse linee batimetriche del natante affondato, accostando quindi decisamente di 90° alla nostra sinistra per riguadagnare quella deviazione volutamente mantenuta nella discesa.
Per un primo tratto senza successo siamo avanzati nella nuova direzione sforzandoci con gli occhi di trovare un qualcosa che rompesse la monotonia di quella nebbia scura. Poi, proprio nel momento in cui iniziavo a pensare che quella ricerca sarebbe stata inutile per colpa della pessima visibilità, ci è comparsa la fiancata di dritta dello battello semi sepolto nel fango.
"Eccolo!", ho esclamato soddisfatto nel boccaglio del loop dell'apparato e che a causa dell'elio presente nella miscela che stavo respirando, nel video si sente con tono nasale alla Paperino.
Il motopeschereccio "Papa Giovanni XXIII°" impattò le rocce dell'isola distruggendo completamente la prua ed affondando in un primo momento a circa 20-25 metri. Successivamente per la pendenza è scivolato più in basso per finire nel sito dove si trova oggi appoggiato sulla dritta, con la poppa rivolta all'isola ed il vuoto di quello che s'immagina fosse la parte prodiera verso il largo.
A parte il fatto che nella nostra immersione la visibilità era limitata a più o meno tre metri, questo non è un relitto che colpisce per il classico colpo d'occhio di una sagoma stilizzata. Oramai tutta la struttura lignea sta collassando su se stessa. Ricordo infatti chiaramente che la prima volta che mi c'immersi, giugno 2008, in complesso lo scafo era messo molto meglio.
Ci siamo portati quindi ad 82 metri, un po' più in basso della sua parte più fonda e da dove l'abbiamo risalito osservando il tavolame del ponte in più parti aperto e spaccato, le ordinate oramai in vista, rottami metallici vari, cime aggrovigliate, boccaporti e pezzi delle reti da strascico ammatassate. Sciabolando con le luci facevamo così scattare di lato sciami di anthias ed alcuni sciarrani.
Con la configurazione in circuito aperto Federiko mi ha anticipato nella risalita. Con il circuito chiuso invece ho il vantaggio di non avere l'assillo costante dei consumi, e così con più calma ho potuto osservare e filmare.
Ero arrivato quasi agli sgoccioli del tempo di fondo programmato, e poco prima di "staccare" ed iniziare ad andar su mi sono soffermato ancora a poppa per osservare l'elica e la pala del timone.
Tutto il resto è stato ascesa controllata e decompressione, trascorsi curiosando il substrato coralligeno coloratissimo sulla bella parete ricca di anfratti ed ampie volte strapiombanti del lato nord dell'isola.

mercoledì 21 ottobre 2020

^^montagna: "19 KM. DI CRESTA"


L'idea di percorrere integralmente qusta linea di cresta lunga 19 chilometri mi era venuta in mente già in passato, ed oggi assieme ad alcuni amici ho attuato il progetto.
Al crepuscolo del mattino con il sole che non era ancora sorto, abbiamo lasciasto la prima auto presso la piccola edicola votiva della Madonna del Carmine a monte di Gagliano Aterno. Poi con la seconda abbiamo raggiunto Rovere (AQ), da dove con un panorama tutto bianco di brina abbiamo iniziato.
Il massiccio del Sirente ha due facce ben distinte. Il suo versante sud-occidentale degrada lievemente mentre quello nord-orientale offre una continua e selvaggia parete di rocce verticali e martoriate di particolare bellezza, il cui margine superiore è la cresta che abbiamo scelto di percorrere.
Guadagnato quindi questo netto spartiacque, con soddisfazione in un'atmosfera autunnale accompagnata da sbuffi nebbiosi, l'abbiamo cavalcata tutta, trovando una decina di centimetri di neve dai 2000-2100 metri di quota. In continui saliscendi siamo passati nell'ordine sul Colle di Mandra Murata, lo Sperone dei Tiburtini, la Punta Macerola, la Vetta del Sirente, l'Altare della Neviera, il Monte di Canale, il Monte San Vito, il Monte Brecciarone, per finire dopo otto ore e mezza dove avevamo lasciato la prima automobile.

martedì 20 ottobre 2020

--immersioni: "BIRRAPERONI"


Discesa in circuito chiuso (81mt. _ 105min. _ e.c.c.r. _ dil 11/48) nel Lago di Albano. Mentre trascorrevo la fase finale della decompressione, girovagavo nel basso fondale "arredato" da rifiuti e cianfrusaglie gettati inurbanamente in acqua dalla maleducazione. Tra questi un vecchio cartello a forma di tappo di bottiglia di vetro di birra.

martedì 13 ottobre 2020

^^montagna: "CIAMMARICANDO"


Immersi nella Majella orientale, a 620 metri di quota, piacevole salita sul primo sperone della Cima della Stretta a Fara San Martino (CH), su di un panoramico itinerario alpinistico sempre in fil di cresta.

mercoledì 7 ottobre 2020

--immersioni: "IL CEPPO D'ANCORA ROMANA"


(102 mt. _ 110 min. _ e.c.c.r. _ diluente 11/48 _ M.O.D. 108mt. _ E.N.D. 51 mt.)

Abbiamo iniziato l'immersione dal bagnasciuga della ghiaiosa spiaggia di Lazzàro (RC), dalla quale praticamente siamo entrati camminando per qualche passo fin quando l'acqua ci ha sgravato dal peso degli autorespiratori, quindi abbiamo agganciato ai lati le bombole di fase e di bail-out.
A 5-6 metri sotto la superficie abbiamo svalicato una linea di scogli squadrati facenti parte delle strutture artificiali di protezione contro l'erosione costiera marina. Sul fondale fatto di sabbia grossolana le cui uniche variabili erano le classiche piccole dune "pettinate" dal moto ondoso e dalla corrente, su di un lieve incremento della pendenza lungamente abbiamo pinneggiato.
Questo è un tuffo profondo perchè la morfologia del fondale cambia solamente una volta giunti oltre i 50 metri. Infatti a questa batimetrica di colpo ci siamo ritrovati sul ciglio di una parete che, più o meno, segue parallela la linea della costa.
Affondando verso destra siamo entrati prima in un ampio antro che avevamo già visitato in passate immersioni, ed una volta usciti abbiamo continuato la discesa a sinistra seguendo una serie di strutture rocciose che a forma di enormi gradoni andavano verso il basso, notando anche grandi nasse unite da lunga sagola oramai da tempo perse, e stelle peltaster placenta più comunemente conosciute come stelle pentagono.
Ad una settantina di metri abbiamo visto un ceppo in piombo d'ancora romana lungo circa un metro.
Come da pianificazione poco dopo ci siamo divisi. Federico in circuito aperto ha iniziato la sua risalita. Invece io in circuito chiuso ho continuato in giù costeggiando una lunga costola rocciosa che praticamente partiva dal punto più basso dei gradoni da noi raggiunto e la cui direttrice era proprio sulla linea della massima pendenza. Così mi sono portato fino a 102 metri e non oltre, per restare qualche metro al di sopra della M.O.D. di 108 metri prevista con il trimix 11/48 che avevo caricato nella bombola diluente dell'apparato a circuito chiuso in relazione al Set Point fissato ad 1,3.
Per qualche momento ho spento l'illuminatore sul casco, ed allora ho osservato il vero colore blu scuro del mare profondo che era divenuto il protagonista. Vedevo di fianco la roccia che avevo seguito andare oltre, però in quel crepuscolo non riuscivo a capire se la sua corsa finiva poco più in là oppure continuava a maggiori profondità. La temperatura dell'acqua era di 15°C, contro i 23°C degli strati superiori, inoltre c'era una lievissima bava di correntedi di direzione sud-nord, per altro niente affatto fastidiosa, che riuscivo a notare osservando la sospensione spostarsi quando illuminata dal faro subacqueo. In un anfratto della roccia ho visto anche alcuni piccolissimi ed isolati rametti di corallo rosso (corallium rubrum), molto probabilmente esemplari superstiti di una colonia che un tempo era più prosperosa per numero e dimensioni.
A queste batimetriche, comunque, il tempo è sempre tiranno perchè la lancetta dell'orologio corre più velocemente! Giungeva quindi il momento d'iniziare la risalita.
Così come avevo fatto prima mi sono riposizionato in direzione della massima inclinazione per ritrovarmi quindi sugli alti gradoni, che in certi punti formavano volte strapiombanti sulle quali sciamavano saettando in tutte le direzioni fitti branchi di anthias, triglie ed alcuni grandi saraghi pizzuti.
Risalivo ancora lungamente, voltandomi ogni tanto verso il basso ad osservare il "sentiero sommerso" percorso.