venerdì 29 gennaio 2010

--immersioni: UN'IMMERSIONE SOLAMENTE...IMMAGINATA


(Piattaforma FRATELLO CLUSTER)
Nonostante l'Abruzzo s'affacci sul medio Adriatico, per noi che ci abitiamo, subacqueamente parlando, è proprio vita grama. Per tutto il litorale, infatti, il fondale degrada lievemente e costantemente con un blando declivio sabbioso/fangogso, per trovare solamente lontano dalla costa delle rilevanti profondità. Quà, dalle nostri parti, rocciose morfologie sottomarine ce le possiamo solamente sognare la notte. A poche decine di chilometri dal mare, in linea d'aria, s'elevano dei massicci montuosi che arrivano a sfiorare anche 2900 metri di quota e, ironia della sorte, non sono altro che masse di calcare che milioni d'anni fa erano il fondo di caldi mari. Non di rado capita, infatti, che girovagando per questi monti ci si può imbattere in reperti fossili di conchiglie oppure anche denti di squalo. Comunque noi sfortunati, sempre subacqueamente parlando, sub abruzzesi le immersioni le dobbiamo inventare, oppure...immaginare!
E' il crepuscolo dell'alba di un mattino d'estate...un tenue chiarore inizia a sfumare di rosso, prima più scuro, poi via via più chiaro, il punto ad oriente dove fra poco farà capolino dalle acque l'astro vitale. Abbiamo già indossato le mute da sub. Stiamo caricando a bordo di un lungo BOSTON W. i nostri "gruppi" degli autorespiratori già assemblati, li stiviamo stretti gli uni agli altri con delle cime ben serrate. In un catino infiliamo pinne, maschere e gli altri soliti aggeggi d'uso subacqueo. Molliamo gli ormeggi e partiamo. I due potenti motori fuoribordo che spingono lo scafo di vetroresina, per il momento emettono un cupo e basso borbottio: in porto velocita massima consentita 3 nodi. Non appena, però, ci lasciamo alle spalle le strutture in cemento del molo sopravvento il comandante da gradatamente fondo alle manette del gas. La superficie del mare, liscia, senza la più piccola increspatura sembra olio, e questa bella barca può quindi planare libera sull'acqua. Assaporiamo il fresco vento relativo che ci rinfresca il sudore che iniziava a scivolare sotto le nostre mute, il sole intanto è sorto. Dislocate davanti al litorale, a svariate distanze dalla costa, ci sono delle piattaforme per l'estrazione dei gas fossili. Naturalmente queste sono assolutamente vietate alle immersioni, si può solo girar loro intorno e pure ad una certa distanza. Per i sub sono solo un miraggio o, appunto, una vacua e sfumata immagine che voluttuosamente ed indistinamente si forma solamente... nei meandri dei nostri circuiti cerebrali perennemente annacquati! Noi, a folle velocità, ci stiamo dirigendo verso quella denominata "SQUALO". La prua violenta la superficie aprendo con due baffi bianchi spumosi la piatta del mare azzurro. Ci divertiamo nel vento e sul mare. Un po' alla volta il fungo metallico, nostro obbiettivo, inizia ad ingrandirsi sempre più ai nostri occhi. Cresce, cresce, fin quando il comandante, togliendo gas, non ferma la barca ad un centinaio di metri da esso. Senza dirci gran che, indossiamo le zavorre, le pinne, e c'infiliamo le bombole in spalla. Lentamente percorriamo questo ultimo tratto di mare fermandoci a pochi metri dalla struttura metallica che imponente ci sovrasta. L'acqua sotto di noi e di un colore blu scuro, cobalto, come può essere il colore dell'acqua solamente molto a largo dalla riva, invitante. L'ultima operazione che facciamo all'aria è quella di sputacchiare sui vetri delle maschere, quindi, ci lasciamo cader all'indietro dentro acqua. Di colpo cambia tutto. Entriamo in un'altra dimensione. Una fastidiosa bava di corrente da nord tende ad allontanaci dal "pilone", così lo chiamiamo, ed allora velocemente a pinneggiare per acchiapparci al "ferro". Via quindi giù espirando aria dai polmoni, però dobbiamo ancora nasconderci dietro le travi per ripararci dal flusso dell'acqua in movimento. Un intricato reticolo disegna nel blu, sempre più scuro, la spettacolare geometria metallica intervallata da, si fa per dire, orizzontali pianerottoli. Sopra uno di questi vediamo un...mostruoso, per dimensioni, scorfano che s'infiamma di un rosso acceso non appena lo illuminiamo con le torcie. Le sagome delle travi di metallo non sono lineari, ma sembrano dei salsicciotti tante sono le cozze che vi s'abbarbicano su con il loro forti bissi, tutto è rifinito da spezzoni di reti, lenze, cavi, ed altri attrezzi e cianfrusaglie di uso marino perso ed incagliatosi alla rinfusa come mosche dentro questa ragnatela artificiale. Scendiamo ancora, il blu è sempre più scuro e l'acqua sempre più fresca. Un ramo d'una spugna axinellae s'accende di un bel giallo, la guardiano mentre ci scivola sopra verso l'alto sopra di noi. Ci muoviamo ulteriormente al rallentatore, siamo tranquilli, i nostri respiri sono regolari. Ci troviamo a 60 metri. A 10 metri sotto le nostre pinne s'intravede il fondo di fango nero cosparso di un'infinita distesa di mitili caduti dall'alto. Scivoliamo ancora qualche metro sotto, senza però "atterrare" sul limo. L'atmosfera è scura, ma non tetra, questo è il colore dell'Adriatico centrale a queste batimetriche. I fari subacquei sondano l'acqua silenziosa intorno mentre noi pinneggiamo con molta calma sempre uno di fianco all'altro. Ci guardiamo attorno memorizzando ogni cosa in questi momenti che corrono, purtroppo, sempre velocemente. Dobbiamo effettuare tutta l'ascesa durante la quale volteggeremo nelle strutture di ferro e, visto che ci siamo, raccoglieremo un po' di cozze. Tiriamo allora fuori i retini e con poche manate li gonfiamo a dismisura con i gustosi mitili. Poi, ancora su, lentamente, verso l'acqua più chiara in alto. Letteralmente "arrampichiamo" metro dopo metro sulle cozze che ricoprono le travi. L'ultima scena che possiamo osservare è quella di uno sterminato branco di palamiti che ci sfreccia vicinissimo per più di due minuti abbondanti, allontanandosi poi picchiando ancora verso il basso. La lunga decompressione ci aspetta, non ci annoiamo.
Questo, però, è il racconto d'una immersione...solamente immaginata!

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