Appena saltati giù in acqua dal comodo peschereccio riadattato a barca per immersioni sul quale eravamo, subito scendemmo sulla bella franata che si apriva sotto le nostre pinne. Eravamo sullo SCOGLIO DELL'ARGENTAROLA che avevamo raggiunto con una mezz'oretta di navigazione da Porto Santo Stefano. In acqua non c'era una visibiltà ottimale a causa della parecchia sospensione che si era sollevata per il mare mosso. Per questo motivo avevamo tutti quanti, nonostante fosse giorno, comunque le torce subacquee costantemente accese per poterci individuare meglio a vicenda in mezzo a quella fitta nebbia di corpuscoli . Il fondale era caratterizzato da una serie di grossi massi che ininterrottamente e con costante pendenza si perdevano in basso e verso i quali ci lasciammo scivolare. Fino ad una ventina di metri di profondità sopra le rocce crescevano le gorgonie gialle, eunicelle cavolini, poi iniziarono a comparire le paramuricee clavate via via con ventagli sempre più grandi ed al solito molto spettacolari. Metro dopo metro raggiungemmo la base della scogliera che affondava le sue radici a circa 40-45 metri sott'acqua, dopodichè un invitante e ripido sabbione continuava la sua caduta verso il basso che noi, sempre in gruppo e vicini gli uni agli altri, naturalmente seguimmo ancora per una decina di metri di profondità. Al momento d'iniziare la risalita ci accorgemmo che due bellissimi dentici di una sessantina di centimetri di lunghezza ci stavano osservando. In quello scuro crepuscolo sottomarino nel quale eravamo, il riflesso delle nostre luci sui loro corpi argentati fu come un piccolo lampo. "Arrampicando" quegli enormi sassi del declivio sommerso riguadagnavamo quota passando tra i rami delle gorgonie rosse che per forza di cose catalizzavano la nostra attenzione. Ripassammo più in alto nel boschetto delle loro cugine gialle e prima di riemergere, dopo la dovuta decompressione, ci infilammo in una piccola grotta a bassa profondità che c'incantò per la bellezza dei vari colori delle spugne, dei briozoi e dei vari madreporari che la concrezionavano. In quell'immersione con me c'erano: Carla, Cristina, Mariaelena, Giovanni, Italo e Paolo.
CALA PICCOLAAll'ARGENTARIO, nell'ottobre del '95 a causa del forte vento di maestrale che con forza soffiava senza posa da due giorni formando un bel mare mosso, rimanevamo a secco senza fare immersioni. Un po' stufi della cosa, al terzo giorno chiedendo le dritte ad un conoscente della zona, ci indirizzammo via terra verso CALA PICCOLA per provare a fare un tuffo partendo dalla spiaggia. Gentilmente ci fu concesso l'accesso al mare dal proprietario dell'albergo lì situato. Poco fuori la piccola rientranza, appena visibile sotto le onde che lo ricoprivano, c'era uno scoglio, la nostra meta, o meglio, quello che speravamo potesse divenire la meta dell'immersione viste le condizioni del mare. Carla ed io ci preparammo e ci infilammo nell'acqua. Seguimmo, fronte al mare, il lato sinstro della baietta ad una profondità di otto metri circa fino a quando capimmo di essere quasi giunti alla sua estremità. Da qui, grazie alla bussola "accostamo" per 240° sorvolando un fondale sabbioso dentro l'acqua con parecchia sospensione. Così nuotammo fino ad una profondità di 15-16 metri, dove incontrammo un grosso agglomerato roccioso. Lo aggiramo in senso antiorario, lasciandocelo alla sinistra, guadagnando rapidamente quota su un'inclinata rampa di sabbia. Capimmo di essere praticamente usciti dal riparo della baia perchè il colore dell'acqua virò al marrone. La visibilità diminuì, il mare agitato aveva portato molto sedimento sospeso anche sul fondo a 30 metri dove ci trovavamo. Capimmo di essere finiti in uno stretto kenion sommerso che percorremmo per un breve tratto fin quando ci trovammo sotto un bell'arco di roccia sulla cui volta, che era a circa 24 metri, c'era una spettacolare "fioritura" di parazoantus gialli. L'ammirammo per un po' per riprendere immediatamente dopo la via del rientro ripercorrendo i passi fatti per arrivare fin là. Esplorammo i mille buchi della roccia decorati da tantissime retepore arancioni, briozoi fragilissimi. Poi fui colpito da un inatteso incontro, fu una sorpresa! Dei bei rametti di corallo rosso fuoco decorati dalle piume bianche dei tentacolini dei polipi espansi, facevano bella mostra di loro. Chiamai Carla che come me rimase meravigliata della vista. Naturalmente non erano di grandi dimensioni, comunque la colonia era abbastanza fitta. Facendo i conti con la scorta d'aria, sostammo tutto il tempo possibile in quei paraggi, prima d'inziar l'ascesa sulla rampa dalla quale eravamo scesi poco prima. Rimontando il grosso roccione incontrammo una grande musdea dentro una grotticina. Poi per rotta nuotammo immersi fino ad uscire dall'acqua sulla spiaggetta.
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