Sopra una stretta cengia rocciosa larga poco meno di un metro che si affaccia da una bella parete, la nostra cordata composta di tre persone è appena arrivata.
Mentre armeggiamo con corde e moschettoni per assicurarci sull’esile sosta, sentiamo le voci di altri due gruppi di scalatori che stanno per raggiungerci sul nostro stesso balconcino. Questo posto non è altro che un naturale punto comodo (sopra una parete di montagna il concetto di comodo è molto relativo) sul quale naturalmente si convogliano delle vie alpinistiche che salgono le une di fianco le altre...
In breve in otto persone ci accalchiamo sopra l‘esile terrazzino. I piedi, già stretti più che mai nelle scarpette da scalata, in queste condizioni non hanno spazio per poter trovare un attimo di pausa e di riposo. Mentre in un intreccio di fettuccie colorate, corde, moschettoni e zaini, con il sottofondo del tipico tintinnio della “ferramenta” da montanari, scambiamo i saluti di rito con gli altri alpinisti, sentiamo delle sommesse voci immediatamente sotto di noi: sta per arrivare un’altra cordata!
Poco dopo, infatti, vediamo far capolino il casco giallo del “primo” dei nuovi giunti che va a cercare anche lui un po’ di spazio in sicurezza, per poter quindi recuperare il suo “secondo” che lo seguirà di lì a poco sull‘altro capo della corda.
Ora siamo al completo, tutti i posti sono esauriti, siamo in dieci!
Le domande si intrecciano e si sovrappongono per sapere le intenzioni degli altri. Vista la sosta forzata, prima di ripartire per quello che è l‘ultimo tiro della nostra via, con non pochi contorcimenti ne approfitto per tirar fuori dallo zaino un po’ di frutta secca da sgranocchiare ed anche per bere un sorso d’acqua dalla boraccia. Masticando ed assaporando il dolce e piacevole gusto di un fico, intanto osservo gli altri scalatori che armeggiano lì intorno a me.
Non so perché, ma gli occhi mi vanno sul “secondo” dell’ultima cordata che è appena arrivata. Agghindati con i caschi di protezione, gli occhiali da sole e gli zaini in spalla, gli alpinisti ad un primo sguardo appaiono quasi tutti uguali, però questo mi sembra di averlo già visto da qualche parte, forse. Lo osservo meglio e cerco un collegamento mnemonico.
Si, ho la netta sensazione di averlo incontrato, non ricordo però dove e quando. Probabilmente sarà uno dei tanti frequentatori della zona con i quali ci si conosce appena di vista. Lo studio ancora fin quando, nel silenzio di un momento di pausa del confabulare delle voci di tutti gli altri, sento nitida ed inconfondibile la sua che dice qualcosa all’amico di ascensione.
E’ un click!
Una luce si accende d’improvviso nelle penombre dei ricordi...
Lo fisso studiandone i lineamenti. Ma si, è proprio lui!
Prima di parlargli l’osservo ancora per essere sicuro di non prendere una cantonata scambiando una persona per un’altra, in fondo è passato veramente tanto tempo e quindi, solo quando ho fugato dai miei pensieri qualsiasi dubbio, gli rivolgo la parola in tono militaresco:
“Gino! Bersagliere Gino … !”
Lui di colpo gira interrogativamente il suo capo nella mia direzione: allora è davvero lui!
Continuo: “Ma non mi riconosci?”
“Veramente no … “ fa lui.
“ Sono Giacinto!”
Ora è lui ad essere meravigliato come lo ero io qualche attimo fa! “Ma se proprio tu?”
“Si, sono io!”
“… Non è possibile!”
“Si, invece è proprio possibile!”
“Ma cosa ci fai qua?”
“Io cosa ci faccio? … Tu cosa ci fai!”
Per una fortuita combinazione ci rincontriamo incrodati sopra una parete di roccia di una montagna dopo più di vent’anni! Che caso!
Ridiamo di cuore increduli e contenti di rivederci, salutandoci più volte calorosamente!
Gino è stato un mio commilitone nel periodo di servizio di leva trascorso per diversi mesi in quel di Padova. Tutti e due molto lontani da casa, oltre alle ore di impegno con le stellette passavamo tutto il tempo della libera uscita assieme, cementando così una salda e sincera amicizia che neanche i tanti anni trascorsi senza incontrarci sono riusciti ad intaccarla. La riprova è che lo sto salutando in questo posto, decisamente insolito, come se ci fossimo visti l’ultima volta ieri e dopo che le “strade” percorse a seguito del congedo non si erano quasi più incrociate!
Nel tempo passato trascorso assieme, spesso a zonzo per le calli di Venezia, ci si raccontava praticamente di tutto. A volte mi capitava anche di dire delle belle escursioni che si potevano fare sulle tante montagne d’Abruzzo. Gli dicevo anche del Gran Sasso con il suo alpinistico Corno Piccolo che all’epoca, però, per lui erano poco più che toponimi di località geografiche e basta che non gli suscitavano alcuna emozione particolare dato che in quel periodo i suoi pensieri vagavano in tutti i posti tranne che per le cime dei monti.
In pochi e frettolosi momenti, ritornano a galla dei ricordi sopiti dal tempo.
La realtà ci richiama: ogni cordata riprende la propria “via”.
Noi “bersaglieri” ci salutiamo non prima di esserci scambiati i recapiti. Stavolta ci ritroveremo presto.
Infatti passate neanche due settimane ci rivediamo: il naturale luogo dell’appuntamento è sotto una parete di roccia per fare cordata assieme.
Non è stato un caso, però, che la via che abbiamo scelto di salire è quella che sulla “guida grigia” alpinistica del Gran Sasso (La Grazzini-Abbate) a pagina 243, numerata come “31k” del Corno Piccolo, è chiamata, manco a dirlo....“LA COMPAGNIA BELLA” !
(Questa via è stata aperta il 12 luglio del 1982 da Vincenzo Brancadoro e Luciano Tedeschini)
Nessun commento:
Posta un commento
Ben lieto della visita, grazie. Se vuoi lasciare un'opinione puoi farlo qui.