giovedì 30 novembre 2006

--immersioni: "SANGANEB (Sudan)"

Ci troviamo nel Mar Rosso del SUDAN sul versante meridionale di un esteso banco di madrepore sul quale è stato costruito su in alto all'aria il faro di SANGANEB.
Scivoliamo sospesi dentro l'acqua chiara del plateau corallino che sotto di noi degrada in modo lieve. Dall'alto si ha la prospettiva di osservare una smisurata tavola inclinata la cui linea del bordo superiore si trova ad una ventina di metri di profondità, base del muro dalla scogliera che verticale risale fino a pelo d'acqua... Il lato inferiore di questo piano inclinato s'interrompe ad una trentina di metri o forse qualcosa in più.
Da questa cigliata si apre un baratro, il fondo aumenta improvvisamente di pendenza.
Espirando aria dai polmoni variamo il nostro assetto e così lentamente affondiamo verso il bordo più in basso della vasta area, a 35 metri di profondità. La moltitudine dei coralli e degli altri mille organismi marini, visti dall'alto apparivano di un colore neutro. Ora, invece, quando ci passo vicino e li illumino al solito esplodono della policromia della quale sono composti.
Andiamo oltre il confine del cambio di pendenza ed in breve giungiamo a 50 metri. L'acqua è quasi tiepida, 29°, ma non perfettamente tersa: una miriade di microrganismi marini planctonici vagano senza meta spinti dai flussi delle correnti.
C'è un secondo cambio di pendenza: la scivolata di sabbia e coralli adesso è diventata ripidissima e la sua angolatura è una forte tentazione!
Con un cenno dico a Cristina di avvicinarsi, d'ora in avanti procederemo "gomito contro gomito".
Una serie di muri corallini a 70° si alternano a piccoli balconi di rena chiarissima, è come essere sopra una scalinata con le "alzate" esageratamente alte e sproporzionate rispetto alle "battute". La luminosità dell'acqua è diminuita, tutto è in penombra, controllo il profondimetro e vedo che ci troviamo a 67 metri.
Raggiungo uno stretto ripiano sabbioso largo appena un metro circa. Poco sotto di me ne vedo un altro e non tardo ad arrivarci.
"Ancora uno e poi basta ..." mi ripeto come in uno slogan pubblicitario di qualche tempo fa.
Così faccio, poi, però, come accadeva con le gustose patatine croccanti con le quali non si riusciva mai di smettere, anch'io non mi fermo. Scendo ancora dirigendomi verso un'altra cengia più in basso che si staglia un po' più chiara contro il blu scurissimo che le fa da sfondo. Planando, al rallentatore, vi atterro sopra.
Dalla voragine d'acqua blu nera che si perde sotto di noi, ondeggiando la sua inconfondibile silhouette a destra e a sinistra risale alla nostra volta un piccolo squalo di un metro di lunghezza. Curioso ci osserva per un attimo e poi scompare sprofondando chissà dove giù in basso.
Siamo a 79 metri di profondità ed osservando questa vertigine blu, la ragione per un atimo vacilla: "E dai, scendi ancora, su vieni..." mi dice una vocina lontanissima.
La tentazione è fortissima, inebriante, magnetica!
L'acqua tiepida pare essere un ulteriore buon viatico alla discesa, è bellissimo essere qui. Sfumato, su in alto, si vede un chiarore, ma è questa falesia che sprofonda nell'abisso a pressioni inimaginabili per noi sub "autocontenuti" quasi ad ammaliarci.
Questo "quasi" è però fondamentale: STOP!
Qua non si scherza!
Si risale. La vocina tentarice è messa a tacere, indico alla mia amica il pollice verso l'alto a segnalare la strada che seguiremo. Già abbiamo riguadagnato quota che alla mia destra si staglia aggrappata sopra un blocco oramai morto di madrepora scolorita, una solitaria gorgonia bianchissima mai vista prima.
A queste profondità la scogliera è meno ricca di vita rispetto agli strati superiori. Con lentezza, ma sempre con costanza, risaliamo metri su metri. Il cupo blu si trasforma in un azzurro con sfumature via via più chiare. Non manchiamo ogni tanto di dare un'occhio alla voragine sotto le pinne.
Rivolgendo il capo in su riusciamo nuovamente a vedere il bordo di quella cigliata che è stato il nostro trampolino di lancio per questo profondo tuffo. Lì, un fitto assembramento di rosse gorgonie a frusta, similmente ad una staccionata fatta di canne, disegna fisicamente una linea di confine tra l'abisso ed il plateau sopra il quale stiamo ritornando.
Superata questa naturale barriera siamo accolti da uno splendido giardino che ricopre il pianoro con un'eplosione rossa e cremisi di alcionari, sono ovunque, a perdita d'occhio!
In alto volteggiano in circolo i membri di un branco di barracuda dal quale ogni tanto un elemento compie una sortita fuori dal coro per poi rientrarne immediatamente dentro.
Non basterebbe una sola immersione per esplorare con cura questo esteso pianoro, noi non possiamo farlo perchè a quote più basse ci attende una lunga decompressione, ed è lì che ci stiamo dirigendo.
Ci sono pesci ovunque che sciamano da tutte le parti e noi passiamo tra queste nuvole viventi in movimento, qui siamo noi gli estranei. Non ci si annoia neanche nei lunghi minuti che trascorriamo in questa fascia d'acqua in attesa di poter riemergere. E come si potrebbe di fronte ad una muraglia calcarea di corallo multicolore che brulica?
Di fronte a questa babele subacquea, gli occhi e l'animo incuriositi e meravigliati al tempo stesso non hanno tregua.
C'è un unico neo, proprio sotto la superficie la temperatura dell'acqua è fastidiosamente tiepida a 30°!
Quando mettiamo la capoccia fuori all'aria, non sappiamo cosa dire prima e non riusciamo a dar voce a tutte le emozioni vissute dal primo all'ultimo minuto del nostro profondo tuffo.
Le parole s'affollano troppo numerose sulla punta della lingua per metterne in fila una serie che formi una frase di senso compiuto: riusciamo solamente a ridere e basta.
La costruzione del faro immobile pare osservarci dall'alto, nel pomeriggio andremo a visitarla e vi saliremo su.
In questi angoli di mare il tempo pare si sia fermato.
Immersione effettuata nel novembre del 2006.

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