L’obbiettivo del mio programma è quello di prendere dei riferimenti a terra, sulla sponda del lago, in corrispondenza della paretina sommersa dell'Annunciata.
Per fare ciò condurrò la prima parte dell’immersione come ho sempre fatto.
Entrando in acqua nel consueto punto percorrerò pinneggiando in superficie un tratto di lago, poi m’immergerò transitando sopra quelle formazioni oramai ben note fino ad individuare dei ben precisi contrafforti rocciosi, che non sono altro che la parte più alta della struttura.
Dopo per rotta che mentalmente annoterò risalirò verso l’alto seguendo la linea di massima pendenza del declivio, fino a riemergere sulla sponda del bacino dove individuerò dei punti fissi che mi torneranno utili quando vorrò successivamente tuffarmi direttamente quasi sulla verticale della “paretina”.
Se nella precedente immersione in solitaria avevo nuotato dentro un’acqua con pessima visibilità oggi, non credendo che ciò potesse essere ulteriormente possibile, lo sto facendo in condizioni di orizzonti visivi praticamente quasi nulli.
Con molta fatica ed a passo di lumaca sorpasso le note cianfrusaglie buttate proprio sotto sponda e quindi mi sposto un paio di metri più in basso.
Qui tutto è di un uniforme color ocra cupo nel senso che sono dentro una nuvola di sospensione fangosa, o per meglio dire anch‘io ne faccio parte.
Già di per se queste condizioni sono decisamente provanti e se ci si aggiunge anche un’ombra scura che mi guizza improvvisa da sotto, allora non manca proprio nulla!
L’ombra risultava essere poi un persico di un paio di palmi di lunghezza che a malapena scorgo a venti centimetri dalla maschera.
Gorgogliando sconce parole nell’erogatore lo mando a quel paese inveendo con un’imprecazione tipica del dialetto pescarese anche nei confronti della sua genitrice che lo fece nascere da una covata di qualche migliaia di uova non so quanto tempo fa.
La sfuriata contro l'incolpevole pesce da sfogo tramite bolle alla tensione latente che la situazione oggettiva dell'immersione crea.
Ora a causa della poltiglia fangosa che rende zero gli spazi visivi intorno, praticamente non riesco più a nuotare elegantemente e striscio arando la melma appiccicosa, questa è l’unica maniera per poter andare avanti. Per un attimo sorrido tra di me pensando a cosa direbbero se riuscissero a vedermi certi miei conoscenti, “esteti assoluti” dell’assetto e del, come lo chiamano loro, "trim" ... o tram!
Con queste condizioni non ha senso andare avanti.
Mi do un’ultima possibilità, proverò a spostarmi ancora un po’ più in basso di un paio di metri a cercare acque nelle quali almeno ci si può muovere.
Conoscendo questo posto, subacqueamente parlando, so che uno strato di 6-7 metri di torbido spesso staziona nelle zona più superficiale e con gli occhi appiccicati al profondimetro che ho al polso molto cautamente mi muovo.
La situazione migliora quel tanto che basta per farmi continuare. Visibilità mezzo o al massimo, un metro. Prima davvero non era cosa.
Se la faccenda rimane così, anche se non è un gran che, posso portare a termine il programma che mi ero prefissato.
Proseguo seguendo verso il basso la roccia che mi accompagna, e vi scendo davanti.
Con la torcia compio dei brandeggi da destra a sinistra sventagliando luce sulla parete per poterne osservare bene i contorni e così arrivo alla base per poi, sempre a velocità forzatamente ridotta, costeggiarla da una parte all’altra.
In questa atmosfera buia e lattiginosa, osservando degli scorci conosciuti da un’angolazione diversa sembra di vederne per la prima volta dei nuovi.
Finita questa ricognizione ed individuato più o meno il punto centrale del monolito sommerso, lentamente lo risalgo in verticale fino a raggiungerne il suo top.
Da qui inizio la parte finale del lavoro.
Ponendomi sulla massima pendenza ed in direzione delle acque basse risalgo prendendo con esattezza i rilevamenti bussola sulla rotta che seguo.
Ritrovo per un tratto la fittissima nuvola ocra grazie alla quale riprendo l’andatura strisciante sul fango e, naturalmente, ripenso agli “esteti”, qui li vorrei proprio vedere.
Fortunatamente la nuvolaccia non è tanto estesa e ne esco dopo un minuto.
Intanto sempre dritto sulla mia rotta ho guadagnato quota ed anche luminosità andando a finire in mezzo ad una zona di piante lacustri tipiche del bassofondo, dove sosto ancora qualche minuto per la tappa di sicurezza prima di riemergere curioso di vedere in quale zona del lago mi trovo.
Ecco, ci sono, posso andare su.
Memorizzo con esattezza degli inconfondibili punti notevoli, e per esserne più certo nuotando in superficie mi allontano di poco verso il centro del lago per avere una visione d’insieme più larga.
Molto bene, mi dico soddisfatto e pinneggiando blandamente, galleggiando ripercorro a ritroso tutta la strada che avevo fatto all’andata immerso.
Giacinto Marchionni
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