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PESCARA, PE - Pescara, Italy


Affascinato d'immersioni che ho sempre praticato in apnea, poi dal 1981 con autorespiratori (A.R.A. / A.R.O. / E.C.C.R.) e fin da ragazzo frequentatore della montagna, costantemente armeggio con, pinne, maschere, autorespiratori, corde, ramponi, piccozze e sci.
Tuffi ed ascensioni qui li racconto con "filmetti", parole e foto.

lunedì 30 ottobre 1995

--immersioni: IL LAGO DI SCANNO

Incuriosito da questa conosciuta turistica meta d'Abruzzo, era autunno la prima volta che mi immersi nel LAGO DI SCANNO assieme a due miei amici, Paolo e Giovanni. Senza renderci conto al momento della fortuna che avevamo avuto, allora lo facemmo in un'acqua limpida. Credendo che quelle fossero le abituali condizioni di visibiltà riscontrabili, baldanzosi la settimana successiva ritornammo trovando invece acque scure e limacciose. Nel corso del tempo imparai che quelli erano i normali standard d'immersione riscontrabili sotto quel lago. Situato a 900 metri di quota, è un bacino che si formò da una frana che in epoche passate ostruì il normale corso del TORRENTE TASSO. Circondato da monti boscosi sui lati e brulli e rocciosi sulle cime, ha una profondità media di 30-33 metri in massima piena, dipendente dalle precipitazioni nevose cadute nel corso della stagione invernale. Subacqueamente parlando lo frequento già da diverso tempo ed in tutti i numerosi tuffi che vi ho effettuato solamente altre due volte, oltre alla prima citata, ho avuta la fortuna di trovare acqua pulita e con buona visibilità a partire dalla superficie fino sul fondo. Uno strato formato da fango finissimo e sedimento organico, prevalentemente vegetale in decomposizione, spesso e volentieri inesorabilmente intorbida l'acqua fino a rendere nulla la visione e di pari passo all'aumentare della profondità, proporzionalmente, aumenta il buio che diviene praticamente totale in prossimità del zona più fonda. Anche la temperatura dell'acqua non è elevata: d'estate sempre alle massime quote non supera mai i 9-10° (stemperata però dal calore nella fascia superficiale), mentre d'inverno dalla minima quota fino alla massima si viaggia attorno ai 5-6-7°. Nonostante la non eccessiva profondità di una trentina di metri: la visibilità limitatissima o quasi nulla, il buio e le basse temperature fanno di questo lago non un ameno posto d'immersione ma, anzi, un sito dove la mente del sub va incontro a condizioni molto severe ed impegnative. A seconda dei punti d'ingresso in acqua si scende su fondali più o meno pendenti che via via che ci si allontana dalle sponde tende a diminuire nettamente d'inclinazione dando la sensazione di nuotare in piano. La conoscenza e la pratica della navigazione subacquea con la bussola, è una ulteriore condizione neccesaria per muoversi sotte queste scure acque quando il senso della vista non può far affidamento che ad un orizzonte limitato di sole un paio di spanne, al massimo, dal vetro della maschera. In quel momento il sub dovrà essere per forza di cosa concentrato su due parametri solamente: profondità (grazie al profondimetro) e direzione (con la bussola), è l'unico modo per proseguire. Raramente s'incontrano pesci come trote, carpe e lucci dei quali più spesso, però, se ne vedono le tracce lasciate dalle loro soste sul fondo di melma che appiccica. Quando s'inizia la risalita dalla massima quota, gli occhi abituati al buio fitto riescono a percepire le sfumature del nero fino a che, andando sopra, riescono a vedere con chiarezza le gibbosità del fondale. Al contrario quando si scende: le retine modulate sulla luce dell'aria, di colpo incontrano la scarsità di luminosità e faticano non poco a distinguere i profili sommersi. Sul fondo, purtroppo, s'incontrano svariati oggetti dismessi che l'inciviltà e la maleducazione della "civile comunità umana", nasconde sotto i flutti. In una zona ci sono ancora dei munizionamenti che i soldati tedeschi, in ritarata dalla nostra penisola durante il secondo conflitto mondiale, scaricarono in acqua per non farli cadere in mano degli "alleati". Una leggenda locale narra anche di un antico borgo sommerso del quale però, nel corso dei svariati tuffi fatti qui, non ho mai incontrato traccia. In tutte le persone che si sono immerse nel lago di Scanno ho notato sempre una reazione che poteva essere o di repulsione totale, o esattamente all'opposto, di inspiegabile attrazione. Insomma, questo tuffo una volta fatto: o lo si odia o lo si ama!


Alcune foto fatte in momenti diversi a Scanno:http://picasaweb.google.com/murenick/SCANNO#

venerdì 20 ottobre 1995

--immersioni: "ARGENTARIO"

SCOGLIO DELL'ARGENTAROLA

Appena saltati giù in acqua dal comodo peschereccio riadattato a barca per immersioni sul quale eravamo, subito scendemmo sulla bella franata che si apriva sotto le nostre pinne. Eravamo sullo SCOGLIO DELL'ARGENTAROLA che avevamo raggiunto con una mezz'oretta di navigazione da Porto Santo Stefano. In acqua non c'era una visibiltà ottimale a causa della parecchia sospensione che si era sollevata per il mare mosso. Per questo motivo avevamo tutti quanti, nonostante fosse giorno, comunque le torce subacquee costantemente accese per poterci individuare meglio a vicenda in mezzo a quella fitta nebbia di corpuscoli . Il fondale era caratterizzato da una serie di grossi massi che ininterrottamente e con costante pendenza si perdevano in basso e verso i quali ci lasciammo scivolare. Fino ad una ventina di metri di profondità sopra le rocce crescevano le gorgonie gialle, eunicelle cavolini, poi iniziarono a comparire le paramuricee clavate via via con ventagli sempre più grandi ed al solito molto spettacolari. Metro dopo metro raggiungemmo la base della scogliera che affondava le sue radici a circa 40-45 metri sott'acqua, dopodichè un invitante e ripido sabbione continuava la sua caduta verso il basso che noi, sempre in gruppo e vicini gli uni agli altri, naturalmente seguimmo ancora per una decina di metri di profondità. Al momento d'iniziare la risalita ci accorgemmo che due bellissimi dentici di una sessantina di centimetri di lunghezza ci stavano osservando. In quello scuro crepuscolo sottomarino nel quale eravamo, il riflesso delle nostre luci sui loro corpi argentati fu come un piccolo lampo. "Arrampicando" quegli enormi sassi del declivio sommerso riguadagnavamo quota passando tra i rami delle gorgonie rosse che per forza di cose catalizzavano la nostra attenzione. Ripassammo più in alto nel boschetto delle loro cugine gialle e prima di riemergere, dopo la dovuta decompressione, ci infilammo in una piccola grotta a bassa profondità che c'incantò per la bellezza dei vari colori delle spugne, dei briozoi e dei vari madreporari che la concrezionavano. In quell'immersione con me c'erano: Carla, Cristina, Mariaelena, Giovanni, Italo e Paolo.


CALA PICCOLA
All'ARGENTARIO, nell'ottobre del '95 a causa del forte vento di maestrale che con forza soffiava senza posa da due giorni formando un bel mare mosso, rimanevamo a secco senza fare immersioni. Un po' stufi della cosa, al terzo giorno chiedendo le dritte ad un conoscente della zona, ci indirizzammo via terra verso CALA PICCOLA per provare a fare un tuffo partendo dalla spiaggia. Gentilmente ci fu concesso l'accesso al mare dal proprietario dell'albergo lì situato. Poco fuori la piccola rientranza, appena visibile sotto le onde che lo ricoprivano, c'era uno scoglio, la nostra meta, o meglio, quello che speravamo potesse divenire la meta dell'immersione viste le condizioni del mare. Carla ed io ci preparammo e ci infilammo nell'acqua. Seguimmo, fronte al mare, il lato sinstro della baietta ad una profondità di otto metri circa fino a quando capimmo di essere quasi giunti alla sua estremità. Da qui, grazie alla bussola "accostamo" per 240° sorvolando un fondale sabbioso dentro l'acqua con parecchia sospensione. Così nuotammo fino ad una profondità di 15-16 metri, dove incontrammo un grosso agglomerato roccioso. Lo aggiramo in senso antiorario, lasciandocelo alla sinistra, guadagnando rapidamente quota su un'inclinata rampa di sabbia. Capimmo di essere praticamente usciti dal riparo della baia perchè il colore dell'acqua virò al marrone. La visibilità diminuì, il mare agitato aveva portato molto sedimento sospeso anche sul fondo a 30 metri dove ci trovavamo. Capimmo di essere finiti in uno stretto kenion sommerso che percorremmo per un breve tratto fin quando ci trovammo sotto un bell'arco di roccia sulla cui volta, che era a circa 24 metri, c'era una spettacolare "fioritura" di parazoantus gialli. L'ammirammo per un po' per riprendere immediatamente dopo la via del rientro ripercorrendo i passi fatti per arrivare fin là. Esplorammo i mille buchi della roccia decorati da tantissime retepore arancioni, briozoi fragilissimi. Poi fui colpito da un inatteso incontro, fu una sorpresa! Dei bei rametti di corallo rosso fuoco decorati dalle piume bianche dei tentacolini dei polipi espansi, facevano bella mostra di loro. Chiamai Carla che come me rimase meravigliata della vista. Naturalmente non erano di grandi dimensioni, comunque la colonia era abbastanza fitta. Facendo i conti con la scorta d'aria, sostammo tutto il tempo possibile in quei paraggi, prima d'inziar l'ascesa sulla rampa dalla quale eravamo scesi poco prima. Rimontando il grosso roccione incontrammo una grande musdea dentro una grotticina. Poi per rotta nuotammo immersi fino ad uscire dall'acqua sulla spiaggetta.