La mia foto
PESCARA, PE - Pescara, Italy


Affascinato d'immersioni che ho sempre praticato in apnea, dal 1981 con autorespiratori (A.R.A. / A.R.O. / E.C.C.R.) e fin da ragazzo frequentatore della montagna, costantemente armeggio con, pinne, maschere, autorespiratori, corde, ramponi, piccozze e sci.
Tuffi ed ascensioni qui li racconto con "filmetti", parole e foto.

lunedì 31 dicembre 2018

^^montagna: "CANALE AD EST DELLA VETTA DEL CAMICIA"


Risalendo l'ampio Vallone di Vradda da Fonte Vetica, sulla sinistra spiccano gli spalti calcarei della vetta del monte Camicia. Tra questi si nota rivolto ad est un bel canale di circa 200 metri di dislivello poco frequentato, che con pendenze attorno ai 45°, seguite da un breve tratto fra rocce a 65° prima dei pendii sommitali, consente di uscire proprio in corrispondenza della vetta a 2562 metri.
La fredda domenica del 30 dicembre ci ha fatto trovare le giuste condizioni per risalirlo con piccozze e ramponi che per tre quarti di salita piacevolmente aggrappavano la neve resa durissima. Solo in corrispondenza della parte alta della via, dove c'erano le pendenze più decise, dovevamo caricare maggiormente le peste sopra la sfondante e superficiale crosta ghiacciata.

lunedì 24 dicembre 2018

^^montagna: "PUB ZIOMAS"



Doveva essere una scialpinistica, comunque è andata bene lo stesso.

giovedì 20 dicembre 2018

^^montagna: "FROM DECONTRA TO BH"



Prima uscita scialpinistica della stagione da incorniciare, infatti dopo le recenti nevicate in quota e le temperature molto basse troviamo la manna degli scialpinisti: la neve polverosa!
Partiti da Decontra, frazione di Caramanico in provincia di Pescara, con sci e pelli di foca praticamente da subito si batte lungamente e faticosamente la traccia in salita fino alla cima del Blockhaus (massiccio della Majella), dentro una montagna che dona agli occhi un panorama da favola tutto bianco ed ovattato.
Nonostante la fatica che si sente nella gambe alla fine di questa lunghissima gita che si sviluppa in 18 chilometri tra andata e ritorno, sciare poi sopra la polverosa manna bianca caduta dal cielo, è stato sfizio puro che ci ha fatto tornare come bambini chiassosi e spensierati.

lunedì 17 dicembre 2018

--immersioni: "GARAGE CASTELGANDOLFO"


Vero e proprio "viaggio dentro" il Lago di Castelgandolfo.
Raggiungere in immersione il relitto di una FIAT 500, quindi scendere prima ad un'altra macchina più fonda e poi ancora giù, ripercorrere sott'acqua la strada dell'andata per riemergere dove tutto era iniziato assaporando con pensieri, sensazioni, emozioni ed azioni ognuno dei quasi 120 minuti dentro il lago, è stata l'essenza di questo mio "viaggio".
Raccontarlo con un video o con parole però non è semplice.

giovedì 6 dicembre 2018

--immersioni: "NOSY TREMITI"


Indispensabile è per l'immersione alla Secca del Pigno, alle isole Tremiti, un competente appoggio logistico di superficie che come d'abitudine ci è stato fornito dal "TREMITI DIVING CENTER".
Se però dovessi definire la "CIURMA" di questo centro d'immersione solo e semplicemente competente e professionale farei loro torto perchè per l'amicizia e l'estrema disponibilità che hanno sempre dimostrato nei venti e più anni di frequentazione da parte mia della loro struttura, non riuscirei a trovare parole ed aggettivi all'altezza.
Scesi sulla linea guida del pedagno fisso di segnalazione della secca, atterriamo in prossimità del suo cappello a trenta e passa metri di fondo. Iniziamo così il nostro giro subacqueo contrastando una lieve bava di corrente presente anche a questa batimetrica, che però già in superficie era un po' fastidiosa.

lunedì 3 dicembre 2018

^^montagna: "SULLA CRESTA"


Con la neve fresca ed alta sulla quale bisogna costantemente battere la traccia metro dopo metro come quella che abbiamo trovata noi in questo primo dicembre 2018, il giro sull'aerea cresta fatta di lunghi saliscendi che congiunge il Rifugio Duca degli Abruzzi al Pizzo Cefalone nel gruppo del Gran Sasso, rispetto allo stesso fatto in condizioni estive assume un carattere diverso sia per quanto riguarda l'impegno, da non prendere sotto gamba, che di tempi di percorrenza. Quest'ultimo elemento è da mettere in relazione all'orario dell'ultima corsa da monte della funivia tra Fonte Cerreto ed il Piazzale di Campo Imperatore.

domenica 18 novembre 2018

--immersione: "OMBRA PERENNE"


Tuffo nell'ombra perenne e fredda del cuore d'acqua d'Abruzzo: il Lago di Scanno.
L'immersione è comunque sempre molto impegnativa a causa delle severe condizioni di scarsa visibilità che d'abitudine caratterizzano il sito sommerso.

domenica 28 ottobre 2018

--immersioni: "MADAGASCAR, NOSY BE: SOTTO E SUL MARE"


Gorgonie
Spugne
Coralli
Plancton
Pesci Farfalla
Corvine
Pesci Trombetta
Carangidi
Anemoni
Pesci Lucertola
Murene
Glass Fish
Cernie
Pesci Angelo
Pesci Pipistrello
Stelle
Tartarughe
Polpi
Razze
Squali
Squali Balena
Remore
Balene,
noi meravigliati abbiamo avuto la fortuna di poter osservare in questo viaggio nel mare di Nosy Be in Madagascar.

martedì 23 ottobre 2018

--immersioni: "MADAGASCAR, LE TARTARUGHE DI NOSY SAKATIA"



Nell'isoletta di Nosy Sakatia appartenente al'arcipelago di Nosy Be in Madagascar, ci siamo tuffati assieme a numerose tartarughe chelonia. Questi animali sono abituali frequentatori della zona perchè i fondali del sito sono ricchi di piante marine delle quali si nutrono.
L'esperienza è stata unica, emozionante e particolare in quanto si m'era già capitato d'incontrare durante immersioni singoli animali, ma mai in questo numero e così avvicinabili.

^^montagna: "VIA BRANCADORO"


In una giornata d'ottobre tersa e non fredda, bell'ascensione al Monte Prena (2561 mt.) nel Massiccio del Gran Sasso d'Italia, con il superamento di tratti alpinistici sia in salita che in discesa che seppur non difficili sono da non sottovalutare, e da evitare assolutamente in caso di forti piogge. L'itinerario si snoda tra numerose guglie calcaree d'erosione che creano singolari prospettive, mentre nei tratti liberi la vista può spaziare sui vasti spazi che offre l'altopiano di Campo Imperatore.

lunedì 22 ottobre 2018

--immersioni: "MADAGASCAR, NOSY BE: RELITTO MITSIO"



Sulla costa occidentale dell'isola di Nosy Be in Madagascar, in località Atnam, su di un fondale sabbioso di una trentina di metri è stato volontariamente affondato il peschereccio "MITSIO" con lo scopo di creare un sito artificiale dove i pesci ed organismi marini vari potessero trovare rifugio, tane e substrato dove poter attecchire.
Nella nostra immersione abbiamo potuto osservare che non solo tutte le strutture metalliche sono ricoperte di svariate forme di vita, ma anche che tra queste c'è uno sciamare di un incredibile numero di specie, tra le quali i protagonisti sono certamente i pesci leone che con le loro criniere di aculei molto decorative, ma soprattutto pericolosamente velenose, pullulano un po'ovunque.

mercoledì 26 settembre 2018

^^montagna: "GIANNETTA GAMBABUONA"


Nel giro di un mese torno sul versante sud-ovest della prima spalla del Corno Piccolo al Gran Sasso d'Italia, questa volta per scalare la Jannetta-Bonacossa ed uscire nella parte alta sulla fessura della variante Schanzer-Bolatti.
Nella su detta esposta e bella fessura, i passi già delicati sono stati resi ulteriormente felpati a causa di pietrisco instabile presente.

mercoledì 19 settembre 2018

^^montagna: "PAOLETTO'S EDGE"


Il tempo incerto che nel pomeriggio pare portare pioggia, così almeno dicevano i previsori, ci consiglia un veloce avvicinamento e quindi decidiamo per la parete nord del Corno Piccolo sullo Spigolo di Paoletto che nella prima sfilata si difende con un tratto di roccia decisamente peggiorata rispetto alle altre nostre ripetizioni, e che impone delicati movimenti. Poi il superamento di un pronunciato spigoletto e la successiva fessura tengono sempre alta l'attenzione che molla un po' nella successiva placca.
La parte alta impegna ancora per un breve tratto con un muretto subito dopo la sosta che immette nel meno difficoltoso canalino finale.

domenica 9 settembre 2018

^^montagna: "LA FESSURA DI NAUDANDA"


Con nelle orecchie il continuo, rimbombante e forte rumore flappeggiante di un elicottero che dalla Piana di Laghetto di Cima Alta trasporta fino al Rifugio Franchetti del materiale necessario alla ristrutturazione del suo locale invernale, risaliamo il Vallone delle Cornacchie per sentiero fino all'altezza dell'attacco della via, per poi attraversalo tutto passando tra i massi della valle glaciale fino ad arrivare proprio sotto la parete est del Corno Piccolo.
Di fronte l'inciso camino/fessura d'attacco iniziale rimane ancora un cumulo di neve, ormai non si scioglierà più, che forma con la roccia una sorta di naturale corridoio con il pavimento detritico molto inclinato.
"Naudanda" risale l'articolata parete a tratti anche molto rotta, con la logica di muoversi su medie difficoltà ed in linea verticale per gran parte del suo sviluppo. Poi scalare sulla fessura finale dell'ultimo tiro d'uscita è davvero cosa spettacolare, infatti questa stretta spaccatura attraversa tutta la Torre Cicchetti consentendo di scorgerci attraverso la Val Maone ed il Pizzo d'Intermesoli dall'altra parte.

domenica 2 settembre 2018

^^montagna: "VIA SIVITILLI-TRINETTI"


La via Sivitilli-Trinetti", detta anche via Storica alla Terza Spalla del Corno Piccolo, è l'unico itinerario alpinistico che dai 1600 metri circa di quota in Val Maone, rimonta tutta la groppa di questa "spalla" che per morfologia è la meno identificabile e marcata rispetto alle altre due più note, la prima e la seconda. Praticamente questa lunga ed articolata linea di cresta si adagia e muore in corrispondenza della sella del Canale del Tesoro Nascosto dove transita il sentiero attrezzato Ventricini.
Per arrivare all'attacco vero e proprio a circa 1800 metri, tra l'altro situato in posizione davvero celata anche a cercare di sbirciarlo dal basso, bisogna faticosamente risalire prima per ripidi pratoni e poi attraversare un inclinato canale di instabili sfasciumi dove c'è la così detta Fonte Popone.
Insomma la Terza Spalla un po' si nasconde, perchè se la si guarda dal sentiero Ventricini se ne scorgono appena le propaggini più alte, e dal basso solo i contrafforti iniziali si parano alla vista. Mentre solamente un osservatore posto a mezza parete sul dirimpettaio Pizzo d'Intermesoli ne potrebbe avere un colpo d'occhio completo.
Senza entrare nello specifico tecnico di una relazione alpinistica occorre dire che:
_lo sviluppo della via è di circa 500-550 metri sui quali si sfilano 12-13 tiri di corda;
_anche se le difficoltà della scalata al massimo si aggirano su passi di III°superiore/IV°inferiore, la sua linea spesso attraversa tratti di calcare delicato ed erbe molto ripide;
_la lunghezza dello sviluppo impone continua attenzione con nella testa la logica di scalare sempre appena alla destra della linea di cresta, pena problemi d'orientamento da non sottovalutare.
L'itinerario, aperto dagli Aquilotti di Pietracamela Sivitilli e Trinetti nell'estate del 1929 va osservato con la logica alpinistica di quei tempi, lontanissima da quella delle odierne placche, e con quella logica "classica" può tranquillamente essere giudicato davvero un itinerario bello e consigliabile a chi è attratto da questo tipo di alpinismo, personalmente l'ho ripetuto più volte.
Tra l'altro quei pionieri del Gran Sasso abitavano e vivevano a non più di qualche chilometro di distanza da queste rocce, quindi andarci sopra ed esplorare terreni totalmente vergini era per loro cosa naturale.

domenica 26 agosto 2018

^^montagna: "VIA FEDERICI-ANTONELLI"


Per cercare di evitare eventuali precipitazioni che in questo agosto 2018 sembrano arrivare ogni pomeriggio sul massiccio del Gran Sasso con precisione da segnale orario, anticipiamo la partenza del nostro avvicinamento, quindi alla buon'ora lasciamo la località Piana di Laghetto di Cima Alta.
Di buon passo percorriamo la prima parte del sentiero Pier Paolo Ventricini e poco prima di arrivare alla forcella del canale del Tesoro Nascosto lo abbandoniamo per risalire a mancina tutto l'incassato canale Bonacossa fino al termine sull'omonima forcella.
Da questo punto si apre tutta la prospettiva della bellissima placconata calcarea della parete sud-ovest della Prima Spalla del Corno Piccolo, sul cui lato sinistro si snoda la via "Federici-Antonelli" sulla quale scaliamo oggi.
Questa via fu aperta nell'estate del 1939, ed ebbe la prima ripetizione nell'agosto del 1957 a dimostrazione ancora una volta che i "Gransassisti" dell'epoca che scalavano con pesanti scarponi, erano davvero bravi.
Noi ripetitori di oggi, con scarpette leggere ed aderenti, abbiamo trovato difficoltà fino al V° grado lungo quest'itinerario verticale e logico che offre resistenza costante, culminante in uno strettissimo, un po' ostico e faticoso tratto consigliabilmente da scalare senza zaino.
La via "esce" sulla cresta della Prima Spalla ed oramai in vista della vetta del Corno Piccolo sulla quale però oggi non andiamo, preferendo scendere direttamente per l'ombrosa "Normale da Nord" (passi di II° in disarrampicata), oggi resa in certi tratti scivolosa a causa dell'umido ristagnante sulle rocce per il maltempo dei giorni passati.

mercoledì 22 agosto 2018

^^montagna: "NEBBIA AL CAMPANILE"


Con la situazione metereologica incerta ed instabile che va avanti da più giorni, e che puntualmente ogni pomeriggio ad orario variabile scarica sul massiccio abbondanti precipitazioni temporalesche, andiamo a scalare sul Campanile Livia del Corno Piccolo la Via dei Triestini per la sua variante d'attacco aperta da Gigi Mario.
La non lunga linea di salita, alpinisticamente parlando logica e razionale, va dritta verticale dalla base alla cima del campanile iniziando prima per un canale camino, poi per un deciso diedro (tratto chiave), quindi per un bel sistema di fessure, per finire quindi su di una placca molto aerea.
Abbiamo scalato in un'atmosfera nebbiosa, umida e grigia, e per quello che mi riguarda valutando ogni centimetro quadrato della roccia sulla quale mettevo mani e piedi. Arrivati sulla sommità della guglia e sempre immersi dentro le nuvole, sentivamo anche il rimbombo sordo dei tuoni di un non lontano temporale che ci faceva prudenzialmente optare per una discesa in doppia invece di proseguire per la cresta delle Fiamme di Pietra come da progetto iniziale.

lunedì 13 agosto 2018

^^montagna: "CIMA DELLE MALECOSTE"


Partendo dalla stazione di arrivo a monte della funivia di Campo Imperatore, l'undici di agosto '18 abbiamo cercato un tranquillo giro fino alla Cima delle Malecoste (2444 mt.), passando per il Pizzo Cefalone(2533 mt.) e la Cima Woytila (2225 mt.).
Tra questi due rilievi la rocciosa linea di cresta è bella, articolata ed a tratti esposta, ma non difficile. Il pezzo invece che conduce alle Malecoste è decisamente arrotondato, ma non per questo meno interessante in quanto gli affacci verso il Pizzo d'Intermesoli, il monte Corvo, l'anfiteatro del Venacquaro, il Lago di Campotosto, il Corno Grande ed il Corno Piccolo sono davvero panoramici.

martedì 17 luglio 2018

--immersioni: " PACI' "


Sulla bellissima e molto pendente linea costiera che congiunge Scilla (RC) al paese di Cannitello (RC), sul versante calabrese dello Stretto di Messina, una punta appena accennata chiamata Pacì si protende verso il mare.
Sotto di essa è possible effettuare immersioni sempre a patto di essere assolutamente più che sicuri di andare in acqua nel momento della stanca della corrente dello Stretto.
Così è stato per questa mia discesa, appoggiata in superficie sempre con grande competenza da Franco Amedeo (associazione UN TUFFO NEL BLU), nella quale ho potuto girovagare a mio piacimento per soddisfare la curiosità di sbirciare in angoli sommersi a me nuovi.
In particolare ho notato che attorno a tutti i grandi scogli sui quali sono transitato in profondità, nella fascia d'acqua tra i 60 ed i 70 metri, c'erano dei profondi avvallamanti similmente a quello che accadrebbe ad un grosso sasso attorno al quale scorrono le correnti di un fiume, insomma il sedimento di materiale grossolano era stato spostato dalle enormi masse d'acqua che investono i fondali della zona, con punte anche di 5-6 nodi di velocità, durante le fasi della "rema" rispettivamente dette di scendente e di montante.

martedì 10 luglio 2018

--immersioni: "CHE SCALONE !"


Il sito d'immersione situato sul versante siciliano e poco a nord dello Stretto di Messina detto "LO SCALONE, ha questo nome perchè l'inclinata stratificazione rocciosa che s'incontra sott'acqua molto ricorda i gradini di un'enorme scalinata che scende nelle profondità del mare.
Le spettacolari "alzate" di tali gradini sono delle alte e verticali pareti sommerse ricoperte dalle paramuricee gialle e rosse, onnipresenti nello stretto.
Anche qui naturalmente è indispensabile immergersi solamente nei momenti della stanca della "rema", la corrente.

martedì 3 luglio 2018

--immersioni: "WHERE THE STREETS HAVE NO NAME"


Di basamento al "pennello" che si protende verso il mare del braccio del porticciolo di Scilla, logicamente ci sono accatastati innumerevoli cuboidi di cemento. Ancora al di sotto di questi una profonda spaccatura tra le rocce, che comunque consente il transito di un sommozzatore, è detta dai locali "Grotta delle Corvine".
Così, per dovere di cronaca, bisogna dire che oggi lì sotto di quei pesci detti corvine (nome scient. Sciaena umbra), non se ne vede per sbaglio neppure l'ombra di una coda, però se sono state nominate per indicare questo sito sommerso, una volta parecchio tempo fa dovevano pur esserci qui sotto.
Detto ciò, al di là della provenienza del toponimo sommerso, i fondali situati attorno e sotto la grotta al solito mi hanno entusiasmato con la loro prepotente esplosione di colori.

sabato 30 giugno 2018

^^montagna: "SIRENTE: QUANTO SILENZIO / CUMBRE"


Questo scritto necessariamente è un po' lungo, lettore porta pazienza.

Lo spunto per andare a scalare sull'Altare della Neviera del Sirente la via Quanto Silenzio (V°/D/100mt. aperta da M.Prignano e comp. nel 1984), aveva solleticato la mia fantasia già da tempo. Grazie a Cristiano che mi fornisce relazione e foto molto chiare posso iniziare a concretizzare i pensieri.
Con la documentazione al solito da me incellofanata ed in saccoccia, assieme a Fausto giungiamo nella fresca mattina del 30 giugno 2018 presso lo "Chalet del Sirente" da dove all'ombra della bella faggeta iniziamo l'avvicinamento.
Nel cuore dell'Appennino Abruzzese questo massiccio montuoso remoto, solitario e silenzioso da sempre ha esercitato su di me un grande fascino.
Dal punto di vista dell'alpinismo su roccia il Sirente è poco frequentato sia a causa degli avvicinamenti alle vie molto dispendiosi in relazione ai dislivelli da scalare, che per il tipo di calcare molto lavorato dal ghiaccio invernale.
Dopo essersi pressata a dovere, la mia molla della motivazione mi ha spinto per un'ascensione nel cuore del Sirente e precisamente sul pilastro di nord-est dell'elegante struttura chiamata Altare della Neviera che si raggiunge all'inizio salendo per sentiero sotto il bosco come stiamo facendo e poi per ripido, lungo e senza traccia, vallone di instabili e franosi sfasciumi sassosi, lasciandoci alle spalle in totale un dislivello di quasi 800 metri da quando abbiamo chiuso lo sportello dell'automobile.
Piano, diversamente davvero non si potrebbe, ci troviamo a salire verso l'attacco che già individuiamo seppur lontano ed ancora in alto, non appena definitivamente siamo fuori fuori dal fitto degli alberi. Le chiacchiere che tra di noi più in basso ci facevano compagnia hanno dovuto lasciare il posto al respiro cadenzato necessario per affrontare la scomodissima erta.
Ammirato osservo l'agilità di un lontano e solitario camoscio che con estrema leggerezza attraversa prima di passo e poi di corsa l'intera valle glaciale in poco meno di un minuto.
Un po' alla volta, un passo dopo l'altro l'obbiettivo s'ingrandisce davanti ai nostri occhi fin quando sudatissimi, e non dopo aver fatto non so quanti indesiderati scivolate indietro sul pietrisco cedevole giungiamo dopo circa due ore e mezza alla base dell'Altare.
La via che ci stiamo apprestando a salire fu chiamata dagli apritori "Quanto Silenzio". Anni dopo, un'altra cordata pensando di essere la prima a mettere le mani in quella zona aprì e nominò "Cumbre" la scalata. A tutti gli effetti però i secondi non avevano fatto che la prima ripetizione di "Quanto Silenzio", la questione alpinistica verrà chiarita in seguito. A parte però la cronologia degli avvenimenti, sono le note scritte sulla relazione a riguardo dei tiri, difficoltà e proteggibilità che focalizzano la mia attenzione. Un'ulteriore postilla testualmente aggiunge:
"... roccia buona, a tratti anche ottima ...".
Leggere queste parole metterebbe qualsiasi scalatore nella miglior predisposizione d'animo a riguardo dei normali interrogativi che toccano i pensieri di chiunque pratichi quest'attività, e così con lo zaino in spalla guardo il compagno secondo di cordata pronto a darmi corda.
In ogni ascensione sono sempre estremamente concentrato ed attento, ed ogni movimento delle mani e dei piedi prima di metterli in pratica li compio dentro la testa. Movimenti circospetti che lo diventano ancor di più quando affronto i primi metri di qualsiasi scalata.
Nome azzeccatissimo questo. L'ambiente attorno è austero e discreto con la sua totale assenza di rumori, ed a parlare è solamente un lieve fruscìo del vento.
Le difficoltà sono esattamente quelle descritte. Le soste incontrate giuste. La verticalità è totale, infatti quando guardo in basso tra le mie scarpe d'arrampicata vedo le corde a piombo che vanno sotto dritte attraverso i moschettoni. Eccellente è la possibilità di poter posizionare diverse protezioni intermedie.
La giornata è soleggiata, leggermente ventilata e con la parete ancora in ombra, quindi con temperatura ideale ne' troppo calda ma neanche fresca.
La cosa però che mi ha stupito in positivo è che la postilla che parlava di roccia ottima non esagerava assolutamente, le mani ed i piedi fin'ora hanno avuto sempre avuto prese ed appoggi compatti.
Sono arrivato sotto un muretto verticale fiancheggiato da una grande scaglia di roccia che con il corpo principale della montagna forma una fessura di una decina di centimetri attraverso la quale è possibile sbirciarci attraverso. Poco sopra intravedo un minuscola piazzola che, data l'ubicazione e la lunghezza della corda che fin'ora ho sfilato, dovrebbe essere la terza sosta.
Prima di alzarmi mi proteggo grazie all'ennesima fessura verticale del calcare larga un paio di dita ancora con un "friend" (un piccolo marchingegno a camme mobili che si posiziona bloccandosi nelle spaccature), e poi effettuo il movimento di rimonto.
Sulla sinistra vedo un chiodo sul quale per il momento mi fermo autoassicurandomi. Poi con tutta calma, vista che ce n'è sia il tempo ma soprattutto la possibilità, rinforzo la sosta posizionando prima un altro friend in una fessura, e poi montando un terzo ancoraggio grazie ad una piccola "clessidra" (un foro d'erosione che passa il calcare da parte e parte), nella quale infilo un lungo cordino che congiunge i tre punti. Solo allora dico al secondo in basso di salire. Dopo un po' mi raggiunge.
Il piccolo pulpito con due persone diventa ancor più scomodo per effettuare le solite operazioni. Il compagno mi restituisce tutto il materiale d'assicurazione e risistemiamo con un po' d'ordine le due corde. Tiro quindi fuori lo scritto per rileggere la descrizione della successiva sfilata: "Salire dritti verticali sulla sosta, quindi aggirare sulla sinistra un piccolo strapiombo ... ecc. ecc."
Essendo questa via corta, superato quindi questo tratto verticale seguito poi da un altro tecnicamente più appoggiato dovremmo uscire, come si dice in gergo, dalle difficoltà sul pianoro sommitale dell'Altare della Neviera del Sirente.
Inizio ad osservare.
Sulla destra c'è un netto e piccolo scavo del calcare dove infilo il piede destro.
Poi con la mano destra a cercare e trovare una presa per le dita un po' svasata ma sufficientemente buona per trazionarsi.
Una tacca quasi all'altezza del ginocchio è il terzo punto grazie al quale riesco a caricare con delicatezza il piede sinistro e quindi innalzarmi.
Allungo il braccio sinistro ed individuo una presa che mi consentirà il movimento in diagonale alta verso mancina e più su, spostato ulteriormente in quella direzione e per il momento lontano da raggiungere, un potenziale punto per potermi proteggere.
Mi muovo assaporando solo per un momento il gesto perchè, all'improvviso, perdendo ogni riferimento delle tre dimensioni dello spazio e totalmente disorientato sento precipitare tutto verso il basso, io con la montagna. Urlo.
In questo brevissimo flash spazio-temporale mi rendo conto spaventandomi ancor di più che sto volando faccia a valle, vedo la morena sassosa del vallone. Mi riesce anche di formulare nitidamente un pensiero: "Spero che la cazzo di sosta regga!"
Poi in rapida sequenza o forse contemporaneamente: lo strappo non forte ma deciso sull'imbrago con il blocco del volo, un secco colpo all'osso sacro con un'immediato dolore fortissimo che letteralmente mi lascia senza fiato come quando si è colpiti violentemente alla bocca dello stomaco, una cascata di pietre che grandina sul casco e l'inconfondibile odore di zolfo che si sente quando dei sassi violentemente urtano tra loro. Il tutto accaduto in un tempo nettamente inferiore rispetto a quello che si impiega per leggere questo periodo.
Tutto poi tace.
Mi ritriovo appeso sotto la sosta che per il momento non riesco a vedere.
Shoccato, sono scosso da un tremore incontrollabile, con il cuore che da dentro mi martella lo sterno.
Urlo, chiamo e mi lamento per il dolore pulsante. Fausto mi risponde e ci scambiamo subito le prime parole.
Data la rapidità con la quale l'evento è accaduto, successivamente mi dirà che al contempo ha sentito il mio grido ed una moltitudine di sassi che lo investiva, poi un attimo dopo meravigliandosi e non capendo tra di se si è chiedeva cosa ci stessi a fare sotto di lui.
Piove ancora pietrisco, non guardo verso l'alto. Osservo ancora tremare incontrollatamente le mani spellate e graffiate.
Devo tornare a pensare per riguadagnare il pulpito di sosta sopra. Allora mi sistemo come meglio posso con i piedi su una minuscola cengia e mi agguanto a qualcosa sulla parete sulla quale mi schiaccio immobile con il respiro fuori controllo.
Accenno ad uno spostamento. Sento però immediatamente l'acuta fitta dolorosa in basso sulla schiena e m'immobilizzo.
Vorrei rimanere bloccato dove sono perchè irrazionalmente in questo momento ho la convinzione che possa crollare qualsiasi cosa.
Devo scuotermi però.
Con molto dolore sul punto colpito, piano per la seconda volta e con pensieri cupi nella testa scalo lo stesso passaggio sul quale poco prima mi muovevo solo con la piacevole concentrazione per i miei gesti. Mi ricongiungo a Fausto.
Osservo prima in basso vedendo i suoi piedi e le corde posate a terra ricoperte di pietrame, poi in alto dove al posto della struttura rocciosa sulla quale mi trovavo è rimasto solo un vuoto di color rosso/giallastro. Solo allora capisco che mi è franata sotto i piedi.
Bisogna però che reagisca. Facile a dirsi, tra lo shock ed il fortissimo dolore mi riesce difficile il solo pensare.
Ci fermiamo. Ho la bocca arsa, secca ed asciutta. Bevo e poi mangio qualcosa, ne sento l'esigenza. Passa qualche minuto. Questa parentesi mi ricarica un po'.
Di continuare conciato come sono non se ne parla. L'unica prospettiva è quella della discesa in corda doppia sulla via scalata.
Così inizio a fare. Per prima cosa pulisco la piccola sosta dal pietrisco che scaravento lontano nel vuoto e poi preparo per bene le matasse delle due corde. Il compagno, molto probabilmente pur non essendo stato lui il protagonista del volo ma solo spettatore, emotivamente è più provato di me, quindi mi è poco d'aiuto.
Queste semplici operazioni fatte in montagna non so quante volte, in questo momento mi costano una faticosa concentrazione mentale che unita alla sofferenza fisica mi costringono a riprendere fiato ogni pochi minuti.
Controllo ancora una volta tutta l'attrezzatura fissa dell'ancoraggio attrezzato, quindi non lancio le corde nel vuoto ma molto lentamente facendole scorrere una mano dopo l'altra calo Fausto rallentandolo ulteriormente con un nodo di sicurezza autobloccante. Faccio così perché in questa situazione preferisco essere io a gestire la sua discesa. In un tempo che mi è sembrato infinitamente dilatato e parlando sempre tra noi intanto lui è arrivato sotto.
E' il mio turno. Ricontrollo tutto ripetendomi le cose a voce alta. Posiziono il discensore e verifico ancora. A corde distese pianissimo scivolo giù. Ad ogni lieve inclinazione del busto corrisponde una dolorosa fitta. Al rallentatore proseguo cercando di dare meno strattoni possibili per non far spostare il residuo pietrisco in bilico. Metro dopo metro a ritroso rivedo tutta la parete dove prima ero salito, ma non me ne frega proprio nulla. Quando ho la possibilità di poter appoggiare mani e piedi mi fermo a riposare. Atterro, ed anch'io tiro un primo sospiro di sollievo ben consapevole del fatto che non è finita.
Madido di sudore, sfinito di stanchezza e con un dolore che senza tregua pulsa ininterrotto accompagnato anche con momenti di nausea, mi sdraio di lato sull'erba sotto le rocce ad occhi chiusi. Pare strano, eppure in tal modo per un po' riesco anche ad estraniarmi.
Riapro gli occhi. Il tempo della pausa è terminato. Inizia la via crucis della discesa sulla pietraia che in queste condizioni già dai primi metri spacca. Riesco a malapena a sollevare il tallone sinistro al massimo di una spanna dal suolo. Oltre, tutti i muscoli della gamba e del gluteo che si contraggono tirano la parte colpita facendomi sentire molto male. Per quanto possa dosare il peso sulle gambe, qualsiasi posizione d'equilibrio riguarda tutti i muscoli e le ossa del fisico, la conseguenza è che continuo ad essere pestato pesantemente sull'area dolente.
Nonostante ciò però cammino, mi muovo, scendo con le mie gambe e mi rincuoro non poco.
Più volte tutti e due ci troviamo a scivolare sulle ghiaie ed allora sono imprecazioni.
Sono circa 300-350 i metri di dislivello che dobbiamo scendere in queste condizioni dentro la pietraia della Neviera, prima del sentiero battuto e la faggeta in basso che sembrano sempre immobili e lontani.
Così facendo finalmente in non so in quanto tempo, riusciamo a portarci fino al limitare dei primi alberi dove abbiamo tutti e due bisogno di stare per un po' fermi, idratarci e mangiare qualcosa. Togliamo i caschi che avevamo ancora in testa.
Prima di ripartire, sotto di noi vedo una radura sulla quale distintamente spicca la traccia del sentiero. Per raggiungerlo nel più breve tempo possibile tiro la linea tra noi e quel punto e m'infilo senza esitare, dritto nella fitta ramaglia bassa dei faggi. In una situazione normale, vista la scomodità del procedere tra alberi così vicini tra loro mai e poi mai mi ci andrei a ficcare. Ma oggi non è una situazione normale perchè ogni metro in più aggiunto alla discesa vedo le stelle, è dolore. I bassi rami al solito impacciano il procedere, però hanno un rovescio della medaglia, almeno per quello che mi riguarda perchè aggrappandomi a loro con le braccia scarico il peso del corpo dalle gambe e dalla zona offesa, e per questo breve pezzo il male un po' si attenua.
Arrivati sul sentiero raccolgo due rami che userò come bastoni d'appoggio. Devo comunque sempre fermarmi ed adagiarmi sul lato destro per riposare ogni pochi minuti. L'accumulo di stanchezza e stress psico-fisico non mi consentono di più.
Se penso a quanto manca ancora prima di ritornare alla macchina mi scoraggio, ed allora mi vieto di pensare al lontano obbiettivo concentrandomi esclusivamente sulla successiva tappa possibile in vista: un albero, una pietra, una svolta del sentiero, ed una volta che ci sono arrivato immediatamente ne cerco un'altra più giù. Con questo stratagemma che in certi momenti funziona ed in altri meno che proseguo contando i minuti, i secondi e persino i passi. Così facendo in quasi sei ore di vero travaglio da quando abbiamo lasciato la parete, in salita l'avevamo fatta in due ore, siamo tornati dov'era parcheggiata la macchina. Stremato mi accascio sulle foglie per terra del parcheggio.
Fausto guida ed io sul lato passeggero ho reclinato tutto il sedile in basso per stare coricato di fianco, rimanere seduto è praticamente impossibile. Appena riesco contatto Carla e le racconto tutto. Lei ascolta. Capisce cos'è successo e mi chiede se riesco a star seduto. Alla mia risposta che non è proprio cosa, da ex sportiva agonista ed allenatrice di lunga data, e pratica di traumatologia anticipa quello che poi sarà il responso oggettivo dell'esame radiografico che farò il giorno dopo e mi dice: "Con molta probabilità ti sei fratturato l'osso sacro".
Rientro a casa alle ventidue e trenta. Dodici ore prima a causa di un crollo di una sezione rocciosa ero volato ritrovandomi appeso ad una corda su una parete di montagna ferito e molto spaventato. Dolorosamente, ma fortunatamente con le mie forze, sono riuscito a riportarmi a valle. Rientrare tra le mura amiche, seppur vacillante e con le energie ridotte quasi a zero, è una bellissima sensazione, ed a caldo questa è la prima considerazione.
In trent'anni di pratica di attività non so quante volte mentre scalavo sono passato su zone più o meno grandi di rocce con colore diverso dove in epoche precedenti, giorni, mesi, anni o secoli c'era una qualche struttura rocciosa che poi un giorno per la naturale erosione causata da ghiaccio, neve, pioggia, in un attimo è caduta giù. Questa è la normale essenza della genesi di tutte le montagne.
Sono "volato" perchè un pezzo di roccia sul quale mi trovavo è crollato. Se ciò fosse accaduto geologicamente qualche giorno o mese o secolo più tardi sarebbe stato sicuramente meglio per me.
Sfiga? Si, forse. Nel calcolo delle probabilità ho pescato la penalità. Avrei avuto però le stesse identiche probabilità, ne' più ne' meno, di pescare il Jolly. Però chissà poi quante altre volte gli alpinisti sono passati su solide rocce che poi un giorno crolleranno? E chi lo sa? E chissà quante volte ho, o abbiamo, pescato il Jolly e non ce ne siamo resi conto. Questi ragionamenti di probabilità sono convinto si possono applicare indistintamente in qualsiasi attività umana di lavoro e di vita di tutti i giorni, e non solo in certe pratiche più esplicitamente non scevre da rischi oggettivi come scalare montagne.
Anche un pizzico di fortuna c'è stata però?
Si, forse.
Il ragionamento da un punto di vista logico è identico e diametralmente simmetrico.
Dopo una manciata di ore dal fatto, anche se duramente pestato, sono rientrato a casa.
Quando scalo in montagna sono circospetto ed a volte anche lento perchè ogni gesto lo penso e lo ripenso prima di farlo. Sono lento anche perchè se ce n'è la possibilità non esito a proteggermi anche più del necessario.
Scalo spesso con lo zaino perchè è parte della mia attrezzatura e di me quando vado sui monti. Nonostante la frattura comunque lo zaino ha ammortizzato il colpo.
Da tre decenni scalo da primo di cordata e ciò mi ha fatto acquisire sicuramente una maggior attenzione nei confronti innanzi tutto di me stesso. Di grande senso di responsabilità per le persone che sono legate all'altro capo della corda. D'infinita riconoscenza per i cari che sono a casa e che da sempre hanno supportato e sopportato le mie grandi passioni.
Questo esperienza ha amplificato la consapevolezza di sapere di essere in un ambiente che per quanto bello ed affascinante, è comunque alieno e ciò vale sempre, e sottolineo sempre, non solo quando si fa alpinismo ma anche quando, apparentemente senza rischi, si va a fare semplicemente una passeggiata tra i monti per raccogliere funghi.

Giacinto Marchionni

venerdì 29 giugno 2018

--immersioni: "YELLOW & RED"


La secca della 'Mpardata (o Mpaddata) è un esteso banco sommerso al largo del porticciolo di Scilla colonizzato quasi per intero dalle gorgonie gialle e rosse (paramuricea) che, quasi incontrastate, predominano su tutte le altre specie.
Grazie al supporto in superficie di Franco Amedeo ed alla sua conoscenza aritmetica dei momenti di stanca della "rema", la corrente dello Stretto di Messina, elemento fondamentale per potersi tuffare in tranquillità in queste acque, ancora una volta ho potuto gustarmi in pieno la vista dello spettacolo naturale dell'intricata foresta vivente gialla e rossa, girovagando sott'acqua liberamente a mio piacimento dove meglio credevo.
Quando poi decidevo di iniziare la risalita, senza fretta mi riportavo fino ad uno dei picchi più elevati, o meno profondi, a circa una ventina di metri da dove, dopo aver trascorso ancora del tempo in compagnia di una murena curiosa e per nulla impaurita, lanciavo verso l'alto il pedagno gonfiabile di segnalazione sulla cima del quale effettuavo la dovuta decompressione.

giovedì 28 giugno 2018

--immersioni: "MONTAGNE SOMMERSE"


Nonostante il fatto che oramai è da diverso tempo che frequento i fondali dello Stretto di Messina ed alcune immersioni "classiche" ed immancabili, come quella alla così chiamata "Montagna" di Scilla, le abbia effettuate svariate volte, comunque la meraviglia che invariabilmente provo quando ho la fortuna di trovarmi ancora dinanzi agli occhi immagini quasi "oniriche" di sterminati campi di gorgonie che lievemente ondeggiano dentro un mare dal colore di un azzurro unico, dicevo, che la mia meraviglia e l'emozione si rinnovano sempre come fosse la prima volta in assoluto.
Per quanto però possa sforzarmi con le parole a dire o scrivere di queste cose, mi rendo conto che a volte è davvero difficile esternare certe sensazioni che, forse, con le immagini di un video possono essere illustrate appena un po' meglio.

martedì 26 giugno 2018

--immersioni: "IL BARCAIOLO"


Nell'ultimo mio recente soggiorno per immersioni presso lo Stretto di Messina dovevamo essere in tre. Alla fine, però, i miei due Amici per imprevisti ed indesiderati contrattempi dell'ultimo momento, purtroppo hanno dovuto rinunciare al loro viaggio facendomi ritrovare da solo.
La faccenda in fondo ha avuto anche i suoi aspetti positivi che, conoscendomi bene, ho apprezzato molto.
Mi spiego.
Fermo restando il fatto che sarebbe sicuramente stata ulteriore fonte di piacere e divertimento se avessi potuto trascorrere dei giorni, non solo sotto le onde, in compagnia di due persone con le quali sono legato da profonda amicizia e confidenza e con le quali oramai condivido intensamente da svariati anni quest'appassionante attività, ma come si dice di necessità alla fine ho dovuto farne virtù, e a dir la verità senza neanche forzarmi più di tanto.
Dover rendere praticamente conto solo a me dell'organizzazione della giornata condizionata ai ritmi imposti innanzi tutto dalla ciclicità delle correnti dello Stretto e dalle immersioni, è stata una libertà che pochi, e di questo ne sono convinto, avrebbero saputo apprezzare a tutto tondo.
Senza volermi dilungare ora in particolari tecnici che per i non addetti ai lavori risulterebbero sicuramente tediosi, però in linea di massima occorre premettere il fatto che già di per se l'organizzazione di una singola immersione in un qualsivoglia sito sommerso richiede un impegno di tempi, materiali, mezzi ed a volte anche fatica fisica, non irrilevanti.
Per praticare poi quest'attività nello stretto braccio d'acqua i cui gorghi erano già conosciuti ai naviganti migliaia di anni fa, Scilla e Cariddi, dicevo appunto che per andarsene sott'acqua in queste zone è assolutamente necessario conoscerne con esattezza quei momenti detti di stanca nei quali incalcolabili masse liquide smettono di riversarsi in alternanza continua nelle ventiquattr'ore dal Mar Tirreno allo Jonio, e viceversa.
Per quello che riguarda i miei tuffi, queste quanto mai più che preziose e fondamentali informazioni mi sono state fornite con affidabilità, competenza e precisione quasi da segnale orario da chi poi è stato anche il mio barcaiolo, così si dice in gergo marinaresco.
Franco con estrema disponibilità e cortesia ogni giorno ha mosso il suo gommone, spinto da un motore di 150 cavalli, per imbarcare solamente un unico sommozzatore, il sottoscritto, e scorrazzarmi qua e là tra Calabria e Sicilia nella mia spinta di dar sfogo alla passione di muovermi a piacimento e, sopra ogni cosa, liberamente nelle tre dimensione che lo spazio sommerso sa donare.
Mentre il sub in questione, sempre il sottoscritto, se ne andava a zonzo per lunghissimi e continui minuti nel così ribatezzato dal Comandante J.Y Cousteau "Mondo del Silenzio", il barcaiolo ed il suo aiuto pazientemente sul natante attendevano sotto il sole, oppure anche sotto pioggia battente.
Poi quando alla fine delle mie lunghissime "sommozzate" decidevo di riemergere, il barcaiolo ulteriormente permetteva di allargare il mio raggio d'azione e mi agevolava anche: potevo infatti eliminare il vincolante e limitante fatto di ripercorrere a ritroso la strada sommersa per riguadagnare il sito d'ormeggio iniziale, perchè bastava che da qualsiasi punto del fondo da me raggiunto lanciassi la boetta gonfiabile e sagolata in dotazione che, una volta raggiunta la superficie, chiaramente gli segnalava la verticale della mia posizione.
Poco dopo il sub immerso ascoltava un po' ovattato il borbottio a bassi giri del 150 cavalli in avvicinamento. Il resto era per me la lenta risalita a tappe per smaltire la decompressione, con sopra la testa la vista della chiglia bianca del gommone.
Non appena alla fine di tutto mettevo la capoccia fuori dell'acqua, la prima domanda di Franco era sempre la stessa: "Hai trovato corrente?" "Ma quale corrente!" puntualmente replicavo.
Lui però, con logica matematica, sorridendo già sapeva quale sarebbe stata la mia risposta.
In conclusione penso che il barcaiolo in questione che ha deciso di vivere in una casa che si trova a dieci metri, misurati, di distanza dal mare che fisicamente sente, vede, respira e vive ventiquattr'ore al giorno, oltre che per correttezza professionale uscisse su questo mare del quale è profondo conoscitore degli umori sopra e sotto il pelo dell'acqua, anche e soprattutto solo per il piacere di farlo, insomma per pura passione.
Dall'altra parte, anche un "sommozzatore" che da solo parte dal medio Adriatico e si sciroppa settecento chilometri per raggiungere i fondali della punta dello stivale dove s'immergerà solitario, posso personalmente garantire sia alimentato da qualcosa di intenso.

martedì 12 giugno 2018

^^montagna: "AUGURI FAUSTO !"


Per festeggiare il suo "ennesimo" compleanno, Fausto per tradizione sale da Fara San Martino (458 mt) al Monte Amaro (2793 mt) passando per lo spettacolare Vallone di Santo Spirito, che nel suo lunghissimo sviluppo chilometrico offre tipologie di panorami assai diversi come le strette, vicinissime e verticali gole rocciose iniziali, il bel bosco di Macchia Lunga e la vasta e lunare alta Val Cannella, prima di arrivare in vetta al rifugio Pelino.
A parte il notevole sviluppo in orizzontale del giro, la nota rilevante per le nostre gambe è stata il dislivello salito che per poco manca i 2400 metri: aritmeticamente il più lungo possibile di tutta la dorsale Appenninica, che quest'anno l'amico ha giustamente ben pensato di far sciroppare anche a noi, Marcello ed il sottoscritto, in occasione della sua annuale ricorrenza!
Con gli zaini in spalla stracarichi di beveraggi e mangerecci vari siamo andati su prima al caldo in pantaloncini corti e smanicati, poi completamente intabarrati per ripararci da una fredda nebbia a vento che ci ha "coccolati" nella parte alta della salita.
Per il resto è stata tanta caciara e risate fatte assieme anche ad altri nuovi amici di passaggio conosciuti nel bivacco.
Auguri, Fausto!

lunedì 4 giugno 2018

^^montagna: "META ULTIMA"


Alle latitudini abruzzesi fare l'ultima scialpinistica il 3 di giugno e trovare il Canalone di nord-est della Meta (2242mt), nel Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, ancora quasi del tutto completamente innevato non capita tutti gli anni!
Dalla radura di Campitelli prima per bel bosco a poi per i Biscurri, raggiungo la base del canale che per ben due volte salgo e poi scendo sciando con grande divertimento.
Viste le condizioni ottime della neve super trasformata, nonostante il caldo che inizia a far sentire le sue vampe anche in quota, non potevo di certo mancare l'occasione di chiudere la stagione con gli sci così ed in compagnia di numerosi camosci!

martedì 29 maggio 2018

^^montagna: "TRE PER TRE"


I vari canali dei versanti settentrionali del Terminillo sono ancora pieni di neve oramai trasformata ed alla fine di questo mese di maggio '18 offrono opportunità per belle uscite scialpinistiche.
Partiti nei pressi del rifugio Sebastiani andiamo in vetta per l'asciutta cresta est e poi affrontiamo la prima discesa con gli sci (difficoltà O.S.A.) nel canale alla destra orografica del Canalone Centrale e, ramponi ai piedi, per questo torniamo per la seconda volta in cima.
Dal geografico cippo sommitale la seconda sciata l'andiamo invece a fare con divertimento assoluto nel non lontano canalone nord (difficoltà B.S.A), tantè che arrivati giù in basso per quanto ci era piaciuto decidevamo di riscalarlo nuovamente tutto e, visto che c'eravamo, perchè non andare per la terza volta sul punto più alto del massiccio?
Ed allora via così con la successiva ancora più sfiziosa sciata sempre per il canale nord.
Alla base di questo brevemente rimontiamo alla selletta sopra "Le Scangive", dando uno sguardo in alto alle oramai secche vie invernali e quindi con sopra la testa il panorama di tutto il versante nord della montagna, rientriamo per la meritata birra.

mercoledì 23 maggio 2018

^^montagna: "PUNTA TRENTO"


Bella salita con i ramponi alla Punta Trento (2242mt) nel gruppo del Velino passando prima per lo Iaccetto di Capo Pezza, con uscita a 45° sulla cresta, e poi per il Colle dell'Orso.
Ho quindi raggiunto la croce di vetta del non lontano Costone situato proprio sopra il rifugio Sebastiani, nei pressi del quale sono sceso sciando sopra un "firn" eccezionale!
Ricalzati i ramponi sono risalito al Costone e dopo aver ripercorso i passi fatti all'andata, esattamente nel ripido punto dove avevo scollinato in salita ho iniziato la bella e continua sciata fino al limite inferiore della neve a 1800 metri circa di quota.

lunedì 21 maggio 2018

^^montagna: "VIA IMPESTATA"




Gruppo del Velino: cresta a nord-est di Punta Trieste.
"VIA IMPESTATA" (Giacinto Marchionni 19 maggio '18; AD+/III°/50°/sv.220 mt)

Arrivando al termine della strada sterrata che conduce ai Piani di Pezza, davanti si prospetta uno sfondo di montagne rocciose con in primo piano, al centro e poco distante una montarozzo che da questo punto di vista appare completamente ricoperto da faggi detto Colle delle Trincere.
A destra di questo colle e su sentiero segnato ci s'indirizza per la Valle Cerchiata ed il Rifugio Sebastiani mentre a sinistra, per libera traccia, si va a finire alla base degli spalti di roccia che sostengono una variegata e rotta linea di cresta che con direzione nord-est allinea la Punta Trieste con un'altra decisamente più bassa detta La Castelluccia.
Per guadagnarsi queste pareti il dazio da pagare è stato quello di orientarsi in una faggeta a tratti anche molto fitta, definita da noi "impestata" appunto, che comunque abbiamo deciso di affrontare e dalla quale siamo usciti a 1750 metri circa, oggi stessa quota d'inizio della bella e dura neve trasformata di primavera.
Calzati i ramponi salgo quindi prima verso destra e poi verticalmente sulla massima pendenza individuando il punto debole di questa prima fascia di calcare verticale: un camino/canale che interrompe la continuità della parete.
Con attenzione passo dal culmine del cono nevoso alle rocce e dopo aver tolto i ramponi, preferisco così, continuo la scalata dentro questa struttura completamente asciutta che per una lunghezza di una trentina di metri mi "offre" su roccia poco compatta e zolle passaggi di III°-, ma da me vissuti in maniera più "impestata" in quanto arrampicati slegato, con in più ai piedi gli scarponi da scialpinismo, bastoncini e sci dietro lo zaino. Per ciò già dopo esser progredito qualche metro in alto nel camino arrivo ad un punto nel quale l'idea di disarrampicare in queste condizioni per tornare giù non mi sfiora neppure, devo continuare ad andar sopra.
L'ultimo delicato movimento prima di uscire da questo pezzo "impestato" è un breve traverso a dritta di qualche metro con i piedi in equilibrio su roccette incastonate nella terra, e ciuffi d'erba come prese per le mani.
Pestando di nuovo con gli scarponi la ritrovata neve mi ricavo una piccola ma stabile piazzola sulla quale, con più che oculati movimenti, ricalzo i ramponi che con le loro punte fortemente aggrappate nel solido "firn" appenninico di primavera, finalmente mi fanno tornare a vedere in maniera meno "impestata sia gli orizzonti di fuori, cioè il pendio nevoso che mi manca ancora da scalare, che quelli di dentro.
Un'inclinata rampa a 45/50° sempre a destra infatti è l'unica zona libera di una compatta e verticale parete che su tutto il lato sinistro non lascia alcuna possibilità.
Senza fretta e misurando ogni passo mi c'indirizzo fino ad uscire sulla linea di cresta a quota 1950 metri circa.
Dopo essermi riposato un po', aggancio gli sci per fare qualche divertente curva nell'ampia conca che si forma tra la cresta sulla quale mi trovo e l'altura di Capo di Pezza fino al termine della neve al limitare del bosco e poi di passo ai Piani di Pezza.

domenica 13 maggio 2018

--immersioni: "INSOLITI GIRI"


Mentre sto "sommozzando" da solo dentro l'acqua fredda, profonda e buia di un lago, è lo stretto e penetrante fascio di chiarore emanato della mia torcia subacquea ad illuminare non solo la strada che di lì a poco percorrerò, ma soprattutto la curiosità, la voglia d'esplorazione e la fantasia.

lunedì 7 maggio 2018

--immersioni: "CHIARI E SCURI"


In quest'immersione d'inizio maggio nel Lago di Scanno (AQ), nei primi metri sotto la superficie stranamente trovo buona visibilità e temperatura di 13°. Conoscendo però le peculiarità del sito non m'illudo, immaginando già perfettamente a cosa andrò incontro.
Difatti sul fondo attraverso fasce d'acqua buia e torbida che si aprono appena per 20-30 centimetri davanti al vetro della maschera con temperatura di 6°C nelle quali, comunque, riesco ad orientarmi per ritrovare una solitaria paretina rocciosa che in questo deserto sommerso di limo e di fango diventa motivo di curiosità.
Più su, invece, sempre tra i chiari e gli scuri delle nuvolaglie di sedimenti lacustri che vanno e vengono, la mia attenzione è catturata da una serie di relitti di barche in legno ed anche, purtroppo, da altri residuati gettati nel lago incivilmente utilizzato così come pattumiera.
Riemerso, poi all'aria mi godo il chiaro piacere per gli occhi delle sponde di un bel posto d'Abruzzo tra monti e boschi.

domenica 29 aprile 2018

^^montagna: "SCIALPINISMO SUL MONTE DI CANALE"


Quando si percorre in automobile la strada che transita sotto la l'estesa ed articolata parete nord del massiccio del Sirente, questa per lunghi tratti è nascosta alla vista da una maestosa faggeta. Solamente dopo aver lasciato il mezzo meccanico ed essere giunti con le proprie gambe sulla verdeggiante Piana di Canale che agli occhi si apre tutta la sua imponente prospettiva.
Ampi canaloni incidono il massiccio su questo versante, ed è alla base di quello chiamato "Brecciarola" che giungiamo non prima di esser passati sotto il bellissimo bosco che orla tutta la montagna fino a circa 1700 metri di quota.
Con i ramponi ai piedi e gli sci sullo zaino invece di risalire il vallone decidiamo di andarcene su un più stretto canalino, con pendenze più decise, posto alla sua destra orografica.
Questa divertente linea che passa alla sinistra della così detta "Pala", un avancorpo del Monte di Canale separato da questo da una profonda gola nella quale transita la via invernale "Sogno di Primavera", ci fa guadagnare la cima a 2152 metri scalando non difficilmente tra singolarissime forme rocciose lavorate da neve, ghiaccio e vento.
Dopo un breve riposo perdiamo qualche decina di metri di quota per imboccare sci ai piedi il ramo d'uscita più settentrionale del Brecciarola, dove andremo a fare sfiziose curve sopra la classica neve primaverile trasformata dell'Appennino.

venerdì 27 aprile 2018

^^montagna: "GUALERZI"


Con la funivia che il 24 aprile non funzionava e la strada per Cima Alta ancora chiusa, per raggiungere il Rifugio Franchetti giocoforza abbiamo dovuto caricarci i pesanti zaini in spalla già dal piazzale Amorocchi dei Prati di Tivo e scarpinare sotto i piloni dell'impianto di risalita fino alla sua stazione di arrivo in località Madonnina.
Da quel punto abbiamo potuto calzare i ramponi ai piedi e quindi per il vallone delle Cornacchie arrivare al rufugio dove, dopo una sfiziosa cena annaffiata da vino e risate, siamo andati a nanna in branda nel piccolo ed accogliente locale invernale.
Alle 6.00 della mattina del 25 partiamo alla volta del ghiacciaio del Calderone e quindi in direzione della "VIA GUALERZI".
Iniziamo non per la sua traccia estiva, una balconata/cengia inclinata, ma da un canalino più verticale (45°/50°) posto di poco a destra, che ci conduce proprio dove inizia la linea diagonale della "3B" (numero della via).
Questa logica salita alpinistica in estate offre difficoltà contenute, ma percorsa con ramponi e picche su rocce impiastrate di neve e ghiaccio diviene una via di misto appenninico non banale e da non sottovalutare, tant'è che abbiamo deciso di scalarla in cordata.

domenica 22 aprile 2018

--immersioni: "ROTOLANDO VERSO SUB"


Quest'immersione di primavera alla Punta Secca dell'isola di Capraia nelle Tremiti, è stata caratterizzata dal nostro incontro con diverse murene(Muraena helena), e con il Polmone di mare (Rhizostoma pulmo), la medusa più grande del Mediterraneo.
Il nome va attribuito al fatto che il ritmico e costante contrarsi e dilatarsi del corpo di questa medusa ricorda il movimento dei polmoni durante la respirazione.
Non bisogna però lasciarsi intimorire dalle sue dimensioni, infatti le sostanze presenti nei tentacoli del polmone di mare hanno effetti urticanti notevolmente inferiori rispetto a quelli che possono essere causati dal contatto con i filamenti delle sue colleghe di specie diversa e più piccole.

domenica 15 aprile 2018

^^montagna: "XXV Aprile"


Per il "mancato", diciamo così, incontro con la "XXV Aprile" della settimana passata dopo 7 giorni abbiamo un nuovo appuntamento alla stessa ora sotto lo Sperone Centrale della Neviera (Peschio Pedone) nel massiccio del Sirente, con l'unica differenza che la temperatura è decisamente più alta, fatto che logicamente non ci farà trovare la bella neve dura e ghiacciata che avevamo sotto i ramponi la scorsa volta.
La salita nella parte bassa ci ha visti tra gli spalti rocciosi di un ampio canale. Proprio al termine di questo siamo andati decisamente verso la cresta di sinistra, raggiunta con qualche delicato passo di misto. Poi quasi sempre sul suo filo tra pini mughi, rocce, neve spesso molle ed il gran caldo, con perennemente incollati agli occhi i superbi panorami che il Sirente sa offrire.
Questa bella cresta termina dopo aver superato un paio di saliscendi su ripidi "gendarmi" su di una sella posta a circa 2150 metri, dalla quale sulla destra si perde quota in direzione del ripido vallone posto sulla dritta orografica del così detto Altare.

martedì 10 aprile 2018

^^montagna: "RELAZIONI INTRECCIATE"


Chi pratica quest'attività sa che se si vogliono scalare pendii innevati a primavera, per trovarli in condizioni sufficientemente buoni per un approccio alpinistico con gli attrezzi, ramponi e picche, bisogna per forza di cose fare levatacce. Allora dopo esserci messi in automobile alle 4.20 del mattino da Pescara siamo giunti verso le 6.00 allo "Chalet", che si trova sulla strada che congiunge Secinaro (AQ) all'altopiano delle Rocche, e poi dopo due ore e passa di avvicinamento iniziamo sulla presunta (da noi e basta!) via invernale XXV Aprile allo Sperone Centrale, Peschio Pedone, della Neviera del Sirente.
Mentre si scalava, erano palesemente enormi le incongruenze che si riscontravano tra le parole scritte nella nella fotocopia incellofanata della relazione che avevo tra le mani che parlava di pendenze al massimo fino a 50° e le difficoltà oggettive che si affrontavano: un lungo e stretto canale a 70° con un tratto ghiacciato ad 80°, nel quale ho dovuto anche inserire una provvidenziale vite da ghiaccio, seguito poi da un'altra ripidissima rampa che andava a terminare sotto una parete rocciosa totalmente pulita dalla neve che ad occhio stimavo opporre difficoltà di IV°, che con gli attrezzi poteva essere affrontata solo con la tecnica del dry-tooling.
Nonostante però queste differenze, mai in quei momenti ci ha sfiorato l'idea che, forse, avevamo commesso un errore finendo come si dice in gergo "fuorivia". Dicevamo invece in primis a noi stessi, e poi all'amico di cordata, che la "relazione" non era esatta!
L'asciutto muro roccioso che vedevamo sopra le nostre teste (...dure), da affrontare con piccozze in mano e ramponi ai piedi, ha finalmente aperto una breccia nelle nostre teste (... divenute appena un po' meno dure), facendoci capire, ed era ora, che non eravamo sulla "XXV Aprile"!
Con attenzione, quindi, dopo aver piantato un solidissimo chiodo in una fessura trovata non prima di aver ripulito dal duro ghiaccio il calcare, non rimaneva altro da fare che effettuare una ritirata calandoci con le corde doppie dall'ancoraggio creato.
Così, per precisare, il mio/nostro errore è stato quello di essere arrivati troppo sotto la parete e troppo da destra avendo così una prospettiva falsata che, da quel punto, ci celava il vero canale della "XXV Aprile". Visuale laterale che per quanto diversa aveva una vaga ma soprattutto subdola ed ingannevole somiglianza con la foto della relazione incellofanata che osservavamo.
Alla fine, comunque sia andata, il fatto di non aver portato a termine il progetto arrampicatorio ha naturalmente un po' scalfito il nostro orgoglio di montanari. Però una situazione del genere può rientrare nel gioco, c'è anche l'eventualità di dirsi ad un certo punto: basta si scende.
Anche questo "deve" stare nello zaino dell'alpinista.
A volte può quindi capitare che non solo certe relazioni umane siano un po' intrecciate.

sabato 31 marzo 2018

--immersioni: "PROSPETTIVE DIVERSE"


Atipico in solitaria risulta auto riprendersi in video sott'acqua, ma soprattutto quant'è lavorato.
Mi è sempre piaciuto raccontare con immagini le mie passioni e nel corso degli anni lo strumento di registrazione che prima era l'apparato fotografico reflex con il quale scattavo le canoniche 36 pose del rullino di diapositive, s'è prima trasformato in telecamera con nastro magnetico per giungere all'attuale digitale.
Nella stragrande maggioranza delle situazioni sono io dietro l'obbiettivo ad inquadrare i miei compagni e seguirli, in certi casi sarebbe più corretto dire inseguirli, per carpire loro gesti o espressioni.
Qualche tempo fa non so perchè m'è ritornata in mente un'immagine del passato, un flash-back:
trovata una base comoda e piatta per posizionare il treppiedi con su la macchinetta fotografica, caricavo quindi la levetta posta anteriormente il corpo ed al lato della focale che permetteva una volta premuto il pulsante di scatto di ritardare il classico click dell'apertura dell'otturatore avendo così il tempo di mettersi fronte alla lente per un autoscatto, che era cosa ben diversa degli attuali "selfie".
Agli occhi degli attuali utilizzatori di telefonini multifunzioni e multimediali che con un lievissimo sfioramento delle dita su di un piccolo schermo piatto scattano a raffica foto e video che in tempo reale pubblicano sempre a raffica nelle virtuale rete telematica, quegli esercizi di laboriosissimi autoscatti di sicuro appaiono come lenti e macchinosi esercizi elementari.
Perchè no, mi sono chiesto? Perchè non fare una "autovideoripresa in immersione? Cosa ben diversa di una selfie-ripresa sott'acqua.
Così ho trasformato l'idea in azione ben sapendo che se allora per "autoscattarsi" all'aria quasi si sudava, sott'acqua sarebbe stato un vero e proprio lavoro. Infatti per ogni pezzo girato c'è un doppio andirivieni del sottoscritto/sommozzatore preceduto dal posizionamento in equilibrio della videocamera con una manovra il più delle volte non semplice.

lunedì 26 marzo 2018

--immersioni: "LA VENERE !"

Beh, questa volta l'abbiamo trovata!

domenica 11 marzo 2018

--immersioni: "E LA VENERE ?"


Ci siamo immersi nel lago di Bracciano con lo scopo di andare a cercare una Venere sommersa, che però non siamo riusciti a trovare. Non demordiamo e ci riproveremo.
Vista la scarsa pendenza dei fondali di questo lago, qualsiasi tuffo oltre i 30 metri di profondità diventa un'immersione "quadra" che obbliga profili decompressivi che iniziano ad essere importanti.

lunedì 12 febbraio 2018

^^montagna: "SERRA DI ROCCA CHIARANO"


In una fredda domenica di febbraio alle 8 e 30 a Passo Godi (1546mt) c'erano -9°, passando per il così detto Scalone e poi percorrendo la chilometrica cresta merlettata da spettacolari cornici aggettanti, delle quali alcune arricciate su se stesse, raggiungiamo la cima della Serra di Rocca Chiarano (2262mt), sulla quale stimiamo a pelle una temperatura di -12°.
La discesa è stata per il versante ovest della montagna sopra una neve delicata da sciare in quanto crostosa e non portante e che comunque nella seconda parte ci ha concesso, con nostra massima attenzione, curve.
Al di là dell'aspetto sciistico, però l'uscita è valsa la fatica ed il freddo per i primi veri panorami invernali che l'Appennino Abruzzese ci ha regalato in questa, fin ora, anomala stagione.

mercoledì 7 febbraio 2018

^^montagna: "POLVERE D'OCRE"


Dopo la nevicata di sabato accompagnata dalle basse temperature, nella nostra uscita scialpinistica sul Monte Ocre (2208 mt), abbiamo incontrato una bella giornata soleggiata e fredda con neve polverosa.
Partiti da Casamaina (AQ), salendo costantemente ma mai su pendii ripidi, solo sulla vetta della montagna abbiamo trovato ghiaccio.
In discesa poi sfizio assoluto.

domenica 28 gennaio 2018

^^montagna: "VIA DEL PONTIFEX"


Sulla parete di nord-est dell'anticima del Monte Elefante, o Cima di Pratorecchia, nel gruppo del Terminillo abbiamo aperto la
"VIA DEL PONTIFEX"
(AD/50-60°, passi a 70°/sviluppo 170 mt/Marchionni Giacinto e Covitti Fausto /27 gennaio '18).
La dedichiamo a Gabriele Di Falco, in arte il Pontifex, nostro compagno d'ascensioni, mentore, ispiratore e soprattutto amico.
L'idea iniziale era quella di andare a scalare sulla parete nord del Monte Elefante che normalmente si raggiunge salendo prima sulla sua anticima per poi scendere all'attacco. Invece, decidevamo di variare l'avvicinamento e, raggiunta la selletta di Pratorecchia a 1875 mt. a pochi minuti dal rifugio Sebastiani, via a compiere il lungo traverso verso il nostro obbiettivo.
Dopo poco, mentre passavamo sotto il versante settentrionale del Pratorecchia (1920 mt. o anticima dell'Elefante), rivolgendo lo sguardo in alto un'immaginaria "linea" alpinistica chiaramente ci si prospettava agli occhi. E perchè non scalarla?
E così vista, pensata, e poi salita.
La giornata è stata bella, soleggiata e fredda. La neve trovata è stata quella tipica dell'inverno di gennaio, fondamentalmente dura e portante in superficie per quasi tutta la traccia, tranne in alcuni tratti nei quali cedeva.

martedì 23 gennaio 2018

^^montagna: "ABBIAMO ALZATO IL GRADO !"


Meteorologicamente parlando, per come si erano messe le cose, posso dire che abbiamo rubato un'ascensione alla montagna.
Arrivati infatti al rifugio Sebastiani al Terminillo troviamo nevischio, vento e nebbia fitta.
Brancolando letteralmente alla cieca dentro l'impenetrabile umido vapore sui ripidi pendii del versante nord-orientale della montagna, casualmente capitiamo sotto l'attacco del canale "IX", più conosciuto come Canale Orsacchiotta, la cui identità ci è stata assicurata da uno scialpinista incontrato proprio lì e che, disorientato nella nebbia come noi, era alla ricerca del Canale Centrale.
A quel punto decidiamo quindi di salire qui, ed allora via su per la costante pendenza sopra una neve bella e dura, che solo per brevi tratti cedeva un po', tra gli spalti di questo inclinato corridoio le cui rocce impiastrate di una spolverata di galaverna e ghiaccio abbiamo potuto ammirare solo per qualche minuto e basta quando il sole è riuscito a lacerare la spessa coltre di nuvole.
Poi uno strappo un po' più ripido, prima degli arrotondati pendii sommitali sotto la cima, oggi ghiacciati.
In corrispondenza del cippo di vetta abbiamo fatto, un'insolita per il luogo ma solita per noi, caciara arricchita da birra, cordiale, the corretto, nocino e dolciumi vari.

lunedì 8 gennaio 2018

^^montagna: "LA TERRATTA"


Partendo dal Lago di Scanno (920mt), abbiamo effettuato questo ampio giro alla Montagna Grande, con 5 ore di salita in condizioni invernali alla Terratta (2208mt.) per l'omonimo vallone.
Dalla vetta poi abbiamo scelto di spostarci di poco verso l'Argatone e quindi scendere in 3 ore per l'incassata e solitaria valle Franchitta il cui tracciato era nei suoi tratti più inforrati sotto copiosi accumuli nei quali a volte sprofondavamo anche fino al bacino, andando così a chiudere un anello lungo più di 12 chilometri, la maggior parte dei quali percorsi su neve di tutte le consistenze (molle che sfondava, crostosa non portante, crostosa portante, dura ed a tratti anche ghiacciata), e che su tutto il percorso ci ha offerto scorci unici grazie agli insoliti colori ed atmosfere che l'Appennino sa offrire in una fredda e livida, ma non per questo spiacevole, giornata di gennaio.