DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
martedì 10 dicembre 2013
--immersioni: "UN PO' PIU' IN LA' "
Immersione nel lago di Castelgandolfo dell' 8 dicembre 2013
E’ ancora buio quando arrivo.
Solo in una zona del cielo verso est, scorgo il chiarore del crepuscolo dell’alba che un po’ alla volta fra poco si prenderà sempre più spazio.
Anche se è a pochi metri più in basso, a causa dello scuro per il momento non riesco ancora a vedere l’acqua del lago. Ne percepisco solamente il rumore dello sciabordio di piccole onde sui sassi, generato da una brezza tesa.
Mentre inizio a prepararmi per l’immersione compiendo l’oramai automatizzata serie di gesti in sequenza di preparazione dell’attrezzatura, vestizione del soffice sottomuta e della muta stagna, la luce del mattino si fa sempre più strada colorando il nero con vari toni d’azzurro. Quando finisco di fare la mie cose è giorno fatto.
Gravato con “bibo”, zavorra, pinne in una mano e custodia per videoripresa nell’altra, con attenzione e passi d’equilibrio scendo uno scomodo viottolo, oggi anche un po’ scivoloso e bagnato, fino a giungere con i piedi nell’acqua. Cammino e vi entro fermandomi solo quando, con sollievo, la spinta idrostatica mi scarica del peso dell’attrezzatura. Che belli che sono questi primi attimi a gravità zero!
Calzo le pinne e senza fretta ma con colpi delle gambe costanti, sul dorso, mi sposto in superficie.
In circa dieci, dodici minuti arrivo in quello che normalmente è il punto d’inizio di un’immersione che scende in una zona sommersa con pendenze molto sostenute.
Oggi però non mi tufferò qui.
Oggi mi sposterò perché voglio andare a dare soddisfazione alla mia perenne curiosità e voglia d’esplorazione.
Oggi butterò lo sguardo un po’ più in là.
Ed allora sempre senza forzare l’andatura, con gambate continue vado ancora lungo la sponda.
Un pescatore con la canna, seduto su un sasso, salutandomi con un cenno della mano mi dice che gli faccio scappare i pesci.
Mentre ricambio il saluto gli rispondo che invece glie li avvicino.
“Magari, almeno acchiappo qualcosa!” ribatte ridendo.
Percorro un ulteriore tratto prima di decidermi per quello che sarà il punto d’inizio, quindi accosto per riposare qualche minuto.
La brezza tesa non ha mollato e nuotare con l’attrezzatura addosso contro le piccole onde fastidiosamente contrarie alla mia direzione, è stato un bel lavoro.
Approfitto di questa pausa per compiere le ultime regolazioni e controlli sul “gruppo” e su di me.
Accendo la torcia sul casco e l’illuminatore. Scarico un po’ d’aria dal g.a.v. e dalla muta stagna ed affondo.
Quando m’immergo per la prima volta in zone a me sconosciute, ed in particolar maniera quando lo faccio in solitaria, sono molto circospetto nell’atteggiamento. Tra l’altro oggi, a causa della visibilità davvero scarsa perlomeno in questi primi metri che incontro, comunque i miei movimenti lo devono essere per forza.
Intravedo, anzi sfioro con il corpo una serie di massi accatastati. Sono l’unico orizzonte possibile ai miei occhi.
Rocce, scogli di mare e di lago sono solamente delle irregolari forme geometriche di grandezze varie che, sebbene diverse le une con le altre, vengono assimilate nella forma da noi sub in un qualcosa d’indefinito e di contorno. Oggi però l’acqua torbida e scura e la novità del sito me li fanno guardare con filtro mentale diverso: direi con rispetto ed un po‘ di gratitudine.
Scendo piano sfiorando con il fianco sinistro le mie "guide indicatrici": le “Signore” rocce drappeggiate di alghe verdastre.
A dieci metri il torbido persiste. La potente luce dell’illuminatore per foto-videoripresa, riflessa dalla spessa sospensione, a momenti è anche fastidiosa. La scosto allora leggermente di lato mitigandone almeno un po' il riverbero.
Ad una quindicina di metri sono ancora dentro corpose nuvole di minutissime particelle.
Non dico che questa situazione mi piaccia o che sia gradevole, questo no, ma i miei ragionamenti interiori, la pratica costante in queste condizioni e la curiosità, fanno si che io riesca a conviverci in maniera decente, a patto però di non abbassare mai la guardia della concentrazione.
Gli occhi divenuti ipersensibili, sfumatamente cominciano a percepire un lieve miglioramento della situazione ed a venti metri gli orizzonti s’allargano almeno di un paio di braccia.
Via via che vado giù il limo diventa meno fitto tanto che posso nuotare senza perdere l'orientamento anche distaccato dal fondale.
Là fuori è buio e freddo: 8°.
Posso finalmente ammirare spazi sommersi sui quali mai avevo posato occhi prima.
Per me questo è veramente gratificante, è l’essenza.
Sebbene protetto da muta e guanti stagni, percepisco nettamente un deciso balzo di temperatura verso il basso sulla mano sinistra e sul polso. Già nella scorsa immersione m'era successo. Probabilmente ho un'infiltrazione d'acqua sulla giuntura polsino-guanto, o un taglietto su qust'ultimo, che nel momento in cui aumenta la pressione durante la discesa fa zampillare acqua all'interno. Nulla però da condizionare il programma d'immersione.
Continuo ad andar giù.
Una netto segmento chiaro si staglia sopra una roccia. Quando mi avvicino intuisco che si tratta del corpo di un luccio morto divenuto tutto bianco ed oramai in avanzato stato di decomposizione.
Il fatto di osservare queste nuove prospettive mi entusiasma non poco e non perché abbia scoperto chissà che, si tratta solamente di un fondale di ripida inclinazione composto in alternanza da rocce e scura rena vulcanica ricoperto di un bianchissimo velo.
Dai cinquanta metri in poi l’acqua è di una trasparenza impressionante: un vero cristallo!
Bellissimo!
Mi affaccio appena fuori del limite di un gruppo di scogli che formano una balconata e, tanta è la pendenza, che pare che sotto ci sia un salto nel nulla.
Ci vado sopra e ci indirizzo il fascio luminoso.
Si dissolve nel vuoto assoluto.
Allora mi decido per scendere ancora, piano, fino a quando s’inizia a materializzare alla vista il pavimento sotto le pinne.
Qualche momento dopo ci sono proprio sopra.
Davanti ed ai miei lati, rocce verticali ed in basso un ulteriore ripido scivolo del quale non riesco a vederne la fine.
Lo seguo per un po’ superando la sessantina di metri, ma il buio pesto di questo cristallo nero mi impedisce davvero di capire dove vada a parare.
L’attenzione e la concentrazione per quello che osservo sono dilatate a dismisura.
Nonostante quaggiù non ci siano colori, sfumature tenui o una vita acquatica che movimenta il palcoscenico, questa vista scurissima e fredda ha un fascino ed un’unica bellezza che vivo appieno.
Ed è in questi attimi che i normali dubbi che erano sgorgati alla mente prima d’iniziare un’immersione come questa, vengono completamente dimenticati.
Ero venuto per andare a vedere cosa c'era un po’ più in là, ho raggiunto lo scopo.
In un successivo tuffo in solitaria effettuato il 28 dicembre '13, ho ulteriormente spostato il punto d'inizio d'immersione nuotando più lungamente in superficie.
La nuova zona esplorata, che è situata immediatamente dopo il ripidissimo fondale subacqueo già conosciuto composto da grandi scogli che si perdono a vista d'occhio, prevalentemente è formata da un monotono scivolo di rena vulcanica di moderata inclinazione che lungamente ho seguito fino a circa 64 metri di profondità.
Video dell'immersione dell' 8 dicembre
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posso solo farti i complimenti come sub e come scrittore
RispondiEliminapratico anch'io l' immersione in solitaria ma da buon rec mi limito ai -45
buone nolle
Roberto
Un tuffo in solitaria comunque è un esercizio di alta concentrazione. Ti rimgrazio Roberto, ciao
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