ISOLA DI VIS (LISSA)Organizzammo in quattro e quattr'otto, ed in meno di 24 ore mi ritrovai assieme alle mie amiche sub Mariaelena e Cristina a bordo del "Granfather", una bella barca a vela di 16 metri. Enrico, il proprietario e fratello di Cristina, decise di fare una minicrociera sull'altra sponda dell'Adriatico girovagando tra le belle isole della KROAZIA. Per noi sub fu l'occasione buona per effettuare delle immersioni in libertà assoluta. L'unica prerogativa era quella di navigare sottocosta, sudiare la carta nautica con le profondità e decidere quindi dove tuffarsi: il massimo! Da Pescara, dopo una tranquilla navigazione notturna, raggiungemmo di prima mattina il porticciolo di KOMIZA sulla costa occidentale dell'isola di VIS. Richiesti i permessi d'immersione e fatti i rifornimenti, riprendemmo subito il mare navigando da quella "marina" intorno all'isola in senso antiorario. La costa, davvero superba, era formata da un'ininterrotta, lunga e frastagliata falesia rocciosa di calcare bianco che si gettava dentro il mare azzuro. Mentre procedevamo, contemporaneamente seguivamo la nostra rotta sulla carta fin quando, in prossimità di un capo indicato con il toponimo locale di RT POLIVALO, non vedemmo che le batimetriche in prossimità dell'isola erano molto vicine le una alle altre a significare fondali con pendenze sostenute. Quello sarebbe stato il il posto per la nostra prima immersione. Tra l'altro, scapolata qualla punta, Enrico avrebbe trovato una sicura baia ridossata dove poter ormeggiare con tranquillità il "Granfather". In breve ci preparammo e saltammo giù in acqua dalla barca a vela che subito dopo si allontanò. Ci portammo nuotando in superficie più vicini alle roccie e quindi iniziammo la nostra immersione. A prima vista il fondale era spoglio, solo rocce con poche alghe sopra. Non andammo verso il fondo, ci posizionammo più o meno ad una profondità di circa 18 metri e per qualche tempo nuotammo così. Ad un certo punto, a qualche spanna sotto di me, vidi una pronunciata rientranza che m'incuriosì. La raggiunsi rendendomi subito conto che quella rientranza non era altro che la parte superiore, l'arco, di una gigantesca volta. Ci lasciammo cadere alla base atterrando sulla chiarissima sabbia dedritica a 44-45 metri. Da quel punto iniziammo la meticolosa esplorazione dell'antro sommerso le cui pareti erano piene di spugne colorate, briozoi, aragoste in gran quantità e persino alcuni minuscoli rametti di corallo rosso! Non si riusciva a staccare gli occhi da quel coloratissimo caleidoscopio. Tutti e tre vicini ci addentrammo nell'angolo più incassato dove terminava la cavità. L'esplosione di vita che lì dentro trovammo contrastava nettamente il deserto delle spoglie rocce della scogliera esterna: dal buio, come spesso accade sott'acqua, paiono sgorgare naturalmente tutti i colori dell'iride. Ci attardammo più che potemmo, ricordando che ci attendeva un tratto di navigazione subacquea prima di riemergere vicini il nostro batello. Ricordo ancora perfettamente il bel colpo d'occhio azzurro che si poteva scorgere ponendosi con la faccia rivolta all'esterno. Risallimmo fin sulla parte più alta della volta, quella dalla quale eravamo scesi, e ci riportammo sulle rocce per iniziare la navigazione di rientro accompaganti da un incredibile numero di saraghi fasciati, erano ovunque.
ISOLA DI LASTOVOSempre a bordo del "Granfather" dall'Isola di Vis ci spostammo sul versante settentrionale dell'ISOLA DI LASTOVO (CROAZIA), ormeggiandoci in una cala di forma quasi circolare chiamata L ZAPLOPATICA, naturalmente protetta dal mare grosso da un'isoletta che si erge come una diga situata proprio sul suo ingresso. Il fatto che quest'isola fino alla fine degli anni ottanta fosse stata una base della marina dell'ex Yugoslavia, ha preservato la natura dal turismo che solo nell'ultimo periodo inizia a conoscere questi stupendi angoli di mare fino a qualche tempo fa off-limits. E' coperta da una verdeggiante e fittissima pineta che arriva a lambire l'acqua del mare. Per ricaricare le bombole da sub, mi rivolsi ad un contatto locale che casualmente avevo conosciuto qualche tempo prima a Pescara. Pronti, con gli autorespiratori in spalla, Enrico ci accompagnò a bordo del "tenderino", il piccolo gommone di servizio della barca a vela, fino a raggiungere la punta situata proprio ad est della baia dov'eravamo ormeggiati. Con Cristina e Mariaelena saltai in acqua e subito scendemmo verso il basso invitati da un fondale di notevole inclinazione formato da una serie di scaglie rocciose sovrapposte che si alternavano a zone di sabbia. Pinneggiata dopo pinneggiata guadagnammo subito una trentina di metri. Lì fui incuriosito da un grosso fanale marittimo perso, forse, da qualche imbarcazione. Era troppo pesante però per trascinarselo dietro per tutta l'immersione e portarlo poi su all'aria, quindi lo lasciai stare dov'era. Sotto ogni scaglia di roccia che incontrammo c'erano delle aragoste che inesorabilmente si rintanavano nell'angolo più incassato ed irragiungibile del loro buco non appena vedevano le nostre maschere, spuntavano fuori solo le lunghe antenne. Continuammo la nostra discesa sopra questi salti rocciosi che diventavano via via sempre più alti all'aumentare della profondità. Ricordo nitidamente l'acqua perfettamente pulita che ci accompagnò per tutta la durata del nostro tuffo. Stoppammo la nostra discesa sui 57 metri circa, nel punto in cui un'isola rocciosa di scogli piatti incontrava la rena che continuava ad andare giù. Lì c'era un fitto assembramento di saraghi veramente belli grossi, erano loro i protagonisti indiscussi di quelle acque. Arrivati ai limiti di profondità e di tempo che ci eravamo prefissi e programmati, iniziammo la costante risalita prendendo la direzione dell'ormeggio del "Granfather" che raggiungemmo dopo una bella navigazione sopra una franata sommersa che offriva rifugio ad un bel numero di cerniotte. Riemergemmo sotto la prua della barca vela, il sole stava tramontando.
DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
mercoledì 20 agosto 1997
mercoledì 30 luglio 1997
--immersioni: "GRECIA - CORFU' (KERKIRA)"
COLOVRI, LE COLONNE
Poco a sud dell'isolotto roccioso di COLOVRI, situato nel versante ovest di CORFU', dal fondo risalgono due picchi rocciosi. Uno arriva fino a 12 metri sotto il pelo dell'acqua, mentre l'altro si ferma a 18. Stretto tra i due c'è una selletta sabbiosa nella quale dimorano diverse pinne nobilis di notevoli dimensioni. Noi ci lasciammo cadere sulla colonna più esterna, quella verso il mare aperto, nuotando verso il basso su una parete verticale fino a circa 64 metri. Sotto i nostri piedi c'erano ancora un 25 metri d'acqua prima che la base del grande pilastro sommerso si incontrasse con la sabbia del fondale che, comunque, continuava inclinato verso non si sa quali profondità. Non furono però l'ottima visibiltà e la gran quantità di pesce incontrato a farmi rimanere impressi nella testa quell'immersione. In piena fase di decompressione, che quella volta per noi iniziava a 9 metri, mi si fece vicino l'amico olandese Sigo, il diminutivo di Siegfrid, indicandomi il chiaro segnale che l'aria gli stava terminando. Prontamente gli offrii l'erogatore di rispetto dal quale iniziò a ventilare. Lo guardai nei suoi occhi che se la ridevano, poi gli chiesi a gesti codificati quant'aria gli rimaneva e a quale profondità fosse stato. Naturalmente sapevo perfettamente che non avrei ottenuto risposta. Così com'era arrivato, ripartì verso l'alto lasciandomi lì a terminare la mia decompressione, ne avevo per diversi minuti.
Noi eravamo andati a 64 metri e stavamo ancora appollaiati attendendo lentamente lo smaltimento dell'azoto, mentre lui, di sicuro, conoscendolo, che si era gettato a capofitto ad una novantina di metri, era già risalito sulla barca in alto. Una volta che me lo ritrovai faccia a faccia, mentre si preparava una sua sigaretta fatta a mano, mi disse, con tesi tutte e solo sue che i profili decompressivi lui li ottimizzava!
LA NAVE PIETRIFICATA

Nel bel mar JONIO dell'isola di CORFU' (Grecia) che si estende sulla sua costa di ponente, poco a largo di una caratteristica località chiamata PALEOKASTRITSA, c'è un piccolissimo isolotto roccioso che vagamente nella forma ricorda una nave. La leggenda epica che si respira in quei paraggi ha fatto si che quello scoglio diventasse la NAVE PIETRIFICATA dell'eroe omerico Ulisse che, nel suo lungo vagabondaggio d'esilio sul mare, soggiornò per qualche tempo presso l'isola dei FEACI, Corfù appunto. Dalla spiaggia di AGIOS GORDIS (quella della foto) raggiungemmo il sito d'immersione a bordo di una barca in vetroresina, ormeggiando proprio a pochi metri dalla roccia che ci sovrastava. Il mare era calmissimo ed all'aria faceva veramente un gran caldo. Per questo motivo non appena finimmo il solito lavorio d'infilaggio delle mute di gomma di neoprene, fu un vero piacere iniziare l'immersione attesi da un'acqua tersa, luminosa ed azzurra. Per un certo tratto costeggiamo sotto qualche metro di profondità la minuscola isola in senso orario perdendo costantemente quota fino al punto in cui entrammo in una grande spaccatura la cui volta superiore era a diversi metri sopra la nostra testa. Subito ci rendemmo conto di essere dentro un passaggio della roccia che attraversava lo scoglio da una parte all'altra e che creava un bellissimo arco sommerso le cui volte erano completamente ingiallite dai microspoci parazoantus. In una buia e tronca diramazione laterale dimorava un incredibile ammassamento di gamberetti semitrasparenti del tipo parapandalus narval che si spostavano strettissimi gli uni agli altri non appena i fasci delle luci subacquee li investivano. Sostammo diversi minuti lì continuando quel gioco con le torce. Riuscivamo a notare perfettamente i grandi occhi e le lunghe antenne di quei gamberi che si avvicinavano al vetro della maschera. Riprendendo la via, lentamente, ci portammo fuori dell'arco uscendo nell'azzuro del mare che si apriva giù in basso grazie ad una bellissima parete sulla quale, naturalmente, ci lasciammo cadere senza pensarci due volte. Andammo sotto fino ad una sessantina e passa di metri ammirando quel lato sommerso della NAVE PIETRIFICATA che ci aveva così ammaliato con le sue sfumature di blu. In questa discesa continuammo la circumnavigazione sempre in senso orario, seguita poi dalla lenta e costante risalita. Con occhio più attento vedemmo un gran numero di aragoste e di vermocane, un verme d'acqua con piccoli e dolorosissimi, se toccati, aculei che strisciavano nel substrato coralligeno. Il giro dello scoglio lo finimmo proprio in prossimità dell'ormeggio della barca dove smaltimmo gli ultimi minuti di decompressione in compagnia di fitti branchi di pesci di scogliera. Assieme a me in qul luglio del 1996 c'erano Marialelena, Luciano e Paolo.
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domenica 25 febbraio 1996
--immersioni: UMM QAMAR
Nel Mar Rosso navigando da Hurgada verso nord in direzione dell'isola di Shadwan, s'incontra una solitaria e piatta isoletta lunga circa 400 metri chiamata in arabo UMM QAMAR (Mamma Luna). Nel soggiorno in quei bellissimi posti sommersi, fatto nel 1996, quando ci capitammo nei pressi, naturalmente non potemmo fare a meno d'immergerci. Oltre alle bellezze dei fondali corallini che normalmente si possono osservare, scendere nelle acque di quella sperduta isoletta ci riservò un incontro subacqueo che difficilmente si scorda, forse anche perchè per me fu il primo di quel genere. Verso la fine del tuffo, che ricordo in particolare per lo strabiliante numero di pesci trombetta che incontrammo praticamente ovunque, fummo attratti dai tipici ed inconfondibili richiami sonori che emettono i delfini. Fermi, sospesi sopra un fondale sabbioso di una quindicina di metri, ci radunammo assieme ed incominciammo a scrutare l'azzurro ed uniforme orizzonte subacqueo che ci circondava, sempre accompagnati da quella colonna sonora fatta di particolari squittii. Fummo premiati: un bell'esemplare di delfino adulto con cautela ci si avvicinò! In superficie, sul mare, tante volte avevo visto nuotare branchi di delfini, ma trovarmene uno a pochi metri di distanza che mi girava intorno in piena libertà, sott'acqua, decisamente mi emozionò non poco! Fortuna volle che avevo la mia NIKONOS, la macchina fotografica subacquea, e potei scattare la foto che qui ho allegato. Mi rimase impressa la straordinaria velocità con la quale si muoveva ondeggiando appena dal basso verso l'alto la sua coda falciata. Rimase assieme a noi per pochi minuti prima di riprendere la sua strada dentro e sull'acqua lasciandoci negli occhi l' incancellabile immagine della sua silouette.
La foto su: http://picasaweb.google.com/murenick/UMMQAMAR#
La foto su: http://picasaweb.google.com/murenick/UMMQAMAR#
giovedì 15 febbraio 1996
--immersioni: "CARNATIC"
Nel Mar Rosso egiziano poco a nord di Hurgada, nello STRETTO DI GOBAL, un esteso bassofondo corallino chiamato SHA'AB ABU NUAS è un vero e proprio cimitero sommerso dove ben quattro vascelli hanno incontrato la loro ultima sorte. Inesorabilmente la causa di tutti i naufragi è stata l'imprudenza che ha portato navi di tutte le epoche, a prescindere dalle tecnologie usate per la navigazione, a transitare troppo vicini alle quanto mai bellissime ma insidiosissime scogliere di corallo. Il "CARNATIC" era una nave passeggeri, con propulsione vela e vapore, in navigazione da Suez a Bombay, che il 14 settembre del 1869 impattò le rocce coralline, rimanendo per qualche tempo all'aria prima di scivolare definitivamente sulla sabbia a 27 metri di profondità e dove si adagiò sulla sua fiancata di sinistra. Ormeggiata la barca in prossimità del reef affiorante, segnato da un fanale di sicurezza, velocemente c'infilammo nell'acqua tiepida a 25°. Scendemmo lungo la parete della scogliera sommersa e con poche pinneggiate raggiungemmo la sezione più fonda della relitto. Poggiati sulla sabbia ammirammo la prospettiva dell'elica e del timone al centro della poppa semicapovolta che con la sua mole generava un netto taglio d'ombra, d'un azzurro più cupo, al sole del mattino che entrava nel mare. Intorno alle lamiere diverse cernie rossastre e maculate giravano per i fatti loro. Ci sollevammo dal fondo e sospesi nell'acqua entrammo dentro il relitto. Sopra le nostre teste la struttura reticolare metallica, oramai spoglia del tavolame di legno decompostosi da tempo, era diventata il naturale substrato di fondamenta per un gran numero di alcionari che vi crescevano sopra. Coloratissimi pesci di ogni dimensione ci volteggiavano intorno mentre curiosavamo dentro le strutture ferrose. Transitammo nella parte centrale della nave, totalmente scoperta, indirizzandoci verso l'antro di prua. Le lamiere delle fiancate che si sitringevano ai lati ed il soffitto chiuso sopra le nostre teste, infatti, crevano un cunicolo che diveniva via via sempre più stretto ad ogni nostro colpo di pinna. Eravamo giunti in un punto dove avevamo poco spazio intorno. Io ero davanti e Massimo un po' dietro di me quando, oramai arrivati nel buio cul de sac dove era impossibile proseguire, con la torcia illuminai una mostruosa murena, con la sua bocca perennemente aperta, a pochi palmi dalla mia maschera! Feci un balzo indietro ed aspettai che l'amico mi raggiungesse. Con le nostre torce illuminammo la signora e padrona del relitto che lievemente ondeggiava il suo enorme corpo che era largo tanto quanto la coscia di un uomo adulto. Vedersela spuntare all'improvviso dentro quello scuro anfratto fece davvero effetto. La studiammo ancora per qualche minuto prima di rirendere la via della luce azzurognola che ridiventò la padrona assoluta delle nostre viste quando fuoriuscimmo dal CARNATIC. Ci decomprimemmo sulla scogliera corallina attorniati da un fittissimo branco di triglie.
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