La musica di Battiato fluisce gradevole dagli altoparlanti mentre la pioggia, discontinua, a tratti picchietta sul lunotto anteriore del mio furgone.
Il viaggio in autostrada è un po’ monotono, infatti i panorami che posso osservare sono limitati dalla potenza del cono di luce generato dai fari dell’automezzo che, invariabilmente, mi fanno vedere le strisce bianche di segnalazione orizzontale sull’asfalto bagnato.
Così, nella notte, mi sposto verso la meta facendo viaggiare anche la mia mente tra i più svariati argomenti.
Vi arrivo che è ancora buio. Solo qualche luce tremolante, che si riflette sdoppiandosi nell’acqua, rivela la presenza del grande lago...
Parcheggio ed inizio a prepararmi.
Sulle sponde delle alte colline, verso est, il chiarore del mattino decisamente si fa strada, e quando oramai ho terminato con le procedure a secco, la luce ha inondato tutto il cerchio visivo.
Anche qui il cielo è plumbeo generato da scure e basse nuvole.
Con attenzione, visto che è stato reso scivoloso dalla pioggia caduta, scendo per un ripido viottolo con le bombole in spalla verso l‘acqua.
Appoggiandomi a dei grossi massi mi tengo in equilibrio per infilare le pinne ai piedi, poi gonfio un po’ il g.a.v. e mi lascio andare nel fluido che mi sgrava, finalmente, del peso dell’attrezzatura subacquea.
In superficie pinneggio con costanza per percorrere il tratto che mi separa dal punto dal quale inizierò l’immersione.
Ci sono.
Posiziono la maschera sul viso e dopo metto in testa il casco con i faretti.
Resto per qualche momento fermo galleggiando sull’acqua facendo un ultimo controllo generale e figurandomi mentalmente l’immersione.
Inizio.
Trovo acqua da subito lattiginosa e scura nella quale mi lascio andare fino ad una decina di metri di profondità dove incontro il primo relitto d’auto.
Da questo punto, fidandomi delle indicazioni della bussola, prendo una rotta lievemente discosta da quella che qui è la decisa linea di massima pendenza.
A circa 18 metri la fascia lattiginosa mi lascia e mi trovo completamente avvolto nell’acqua tersa e totalmente buia nella quale mi faccio strada grazie allo stretto fascio di luce che spiove dal caschetto.
La temperatura dai 16° della superficie è calata a 9°.
A 35 metri, la oramai familiare macchia chiara di un’altra automobile sprofondata quaggiù chissà quanto tempo fa, mi compare alla vista.
Le giro intorno curiosando al suo interno.
E' un modello degli anni settanta.
Dalla melma penetrata ovunque spunta fuori il volante.
Lascio la macchina e non più navigando con la bussola mi lascio andare verso il basso seguendo un canalino che marca appena il fondale.
Mi “ricontrollo” ancora e controllo anche i vari strumenti.
Per un momento devo interrompere la discesa, sento un orecchio un po’ ovattato. Riguadagno qualche metro verso l’alto per decongestionarlo.
Riprendo ad andar giù.
Sono molto concentrato ed al tempo stesso rilassato.
Assaporo in pieno questo tempo che passa.
Ammaliato osservo il pendio sotto di me che si perde non si sa dove, tra l’altro reso bianco sulla sua superficie dalla presenza, credo, di qualche alga o fungo.
Arrivo a 67 metri, la quota che mi ero prefissato.
Osservo delle isolette di rocce sparse, nulla di particolarmente interessante, ma che quaggiù in questo momento solleticano oltre misura l’attenzione e la curiosità.
L’acqua è talmente pulita che l’alone di luce svanisce e si dissolve nel buio.
Inizio la risalita sulla ripidissima erta sommersa.
Fatti pochi metri verso l’alto, però, la luce sopra la mia testa di colpo si spegne.
Rimango nel buio pesto.
Vedo chiaramente solo l’alone fosforescente del quadrante della bussola che ho sul polso destro.
A memoria, vado con la mano sull’interruttore dell’altra torcia che ho agganciata con un moschettone sullo spallaccio di sinistra del g.a.v..
L’accendo e proseguo.
Sciabolando radente a destra e sinistra il fascio luminoso, vedo perfettamente il profilo del fondo.
Gobbe, dune fangose, tronchi e massi a dismisura allungano le loro ombre in movimento dietro di loro.
Il colore attorno a me è cambiato: dal nero assoluto è passato ad un verde scurissimo che, via via che vado su, un po’ alla volta schiarisce sempre più.
Senza l’ausilio delle luci artificiali, che spengo, riesco a percepire il fondo.
Ho riguadagnato quota, luce ed anche qualche graditissimo grado di temperatura dell’acqua. Nel punto più in basso erano 8.
Compio una lunga accostata in diagonale.
Gli alberi caduti e delle gigantesche rocce, creano strane architetture sommerse incorniciate da foschie verdastre. Qualche raro persico vaga.
Riconosco la zona dalla quale devo riemergere non prima di aver passato gli ultimi minuti di decompressione.
Per ingannare il tempo vado a curiosare sotto un tronco che, posto di traverso rispetto al fondale, crea una scura cavità che d'improvviso ... s'illumina!
Il faro posizionato sul caschetto che giù sotto mi aveva piantato, ha ripreso a funzionare proprio in questo momento ...
Ritornato all'aria, galleggiando sul pelo dell'acqua, tolgo la maschera dal viso.
Così rimango per qualche momento ad assaporare la tranquillità della superficie del grande lago con i suoi rumori ovattati.
Ritornato al furgone, velocemente mi cambio e bevo caute sorsate di un gradevole the che bollente mi verso dal thermos.
Avvio il motore e riparto verso casa al suono della musica, ancora Battiato, colonna sonora dei miei pensieri.
DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
martedì 30 novembre 2010
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