Facendo attenzione alle indicazioni del G.P.S. che ci segnalava le coordinate geografiche di un ben preciso punto in mare aperto, d'un tratto sulla schermata grafica dell'ecoscandaglio montato sul gommone di Raffaello, notammo appena elevarsi dal piatto fondale sabbioso situato 40 metri sotto la chiglia, quella che ad un occhio poco pratico poteva sembrare un'elevazione appena accennata.
Quella bassa collina sommersa era proprio quello che stavamo cercando.
Filammo a mare il pedagno zavorrato che velocemente srotolò la lunga sagola avvolta sul suo mulinello. Marcammo così il relitto di Molara, dal nome di un isolotto della costa sarda nord-orientale, una nave da trasporto lunga circa 70 metri.
Sotto il sole caldo di quell'agosto del 2001, sudando non poco, Paolo ed io ci preparammo indossando le mute di gomma e quindi ci tuffammo in acqua seguendo il cordino giallo che inclinato diagonalmente ci guidò, terminando la sua linea, proprio vicino la prua della nave.
In quel punto dove atterrammo era possibile vedere ancora le catene delle ancore. Tutta la parte lignea del vecchio vascello è praticamente scomparsa, lasciando in vista solamente le ordinate metalliche e l'intreccio reticolare della struttura di coperta.
Di lena nuotammo verso la poppa, e come spesso succede nell'acqua con buona visibilità, l'effetto ottico pareva rendere la distanza da attraversare minore di quella che poi in effetti era nella realtà.
Andammo ad esplorare con attenzione la sala macchine. In un caos di lamiere, assi di ferro, arnesi di marina ci infilammo dentro un pertugio dove trovammo accatastati dei mattoni con la scritta GLENBOIG e CLAYBURN, erano i mattoncini refrattari posizionati all'interno della caldaia, cuore propulsorio.
Branchi fittissimi di saraghi pattugliavano quelle acque, d'altronde sopra un piatto ed uniforme fondo di sabbia, una struttura sommersa del genere crea un'infinità di logici ricoveri per tantissimi organismi e, illuminando un tubo divelto, vedemmo una murena che l'aveva scelto come tana.
Andammo poi sulla poppa, oramai completamente inesistente, dove erano rimasti solamente i contenitori di grossi serbatoi.
Con gli occhi gustammo fino all'ultimo momento l'inconsueta trasparenza e luminosità di quell'acqua a 40 metri di fondo.
Giunse il momento di riprendere la via dell'aria verso l'alto. Iniziammo a malincuore a riguadagnare quota dirigendoci verso la prua del relitto dove ritrovammo il sagolino del pedagno che ci riportò verso l'alto. Qualche metro sotto la chiglia del gommone smaltimmo gli ultimi minuti di debiti d'azoto.
Immersione effettuata nell'agosto del 2001.
Per parecchio tempo questo relitto si pensasse fosse una nave battente bandiera francese di nome "OUED YQUEM (del tipo Windjammer, costruiti in Olanda, caratterizzati da scafi in ghisa e ferro, 4 o 5 alberi con grosse vele quadre che erano il vero sistema propulsivo e da piccoli motori a vapore da utilizzare solamente nelle manovre).
Qualcosa non quadrava però nell'identificare la OUED YQUEM perchè se fosse stato un "windjammer", avrebbe dovuto avere un piccolo motore contrariamente al grande motore a vapore che si vede e lo scafo in metallo. Invece il relitto poco al largo dell'isola di Molara in metallo ha solamente le ordinate e dello scafo in legno esposto al mare non è rimasto nulla.
Esperti di storia navale e di naufragi, grazie alle stampigliature impresse sui mattoncini refrattari sono riusciti a risalire ai cantieri di costruzione e quindi alla nuova identità della nave.
Le scritte "GLENBOIG" e "CLAYBURN" erano i marchi di fabbrica delle fornaci specializzate nella produzione di quei particolari mattoni, la prima scozzese e la seconda canadese in British Columbia ed ancor oggi in attività."
In particolare il marchio "CLAYBURN" riporterebbe la costruzione del relitto di Molara in un cantiere navale del British Columbia, quindi vicino la fabbrica Clayburn, per conto del governo inglese per scopi bellici, con il nome di "WAR HAIDA": scafo n.8, lunghezza 76,6 metri, larghezza 13,3 metri, macchina a vapore con due caldaie, ordinate in struttura metallica e fasciame in legno.
Questa nave nel 1919 fu venduta alla "Roma Società di Navigazione" che le cambiò nome in "RODOSTO" e che successivamente la cedette nel 1924 alla "Societa di Navigazione e Cabotaggio" di Genova.
Mentre era in navigazione da Cagliari a Genova, il 22 gennaio del 1927 si incendiò ed affondò nei pressi dell'isola di Molara.
Paradossale invece la fine della piccola OUED YQUEM, costruita in Olanda, fu silurata da un sommergibile olandese 14 miglia fuori Capo Figari, quindi molto più al largo di Molara il 3 ottobre del 1941.
(Questi riferimenti storici mi sono stati forniti da Stefano Ruia che ringrazio.)
DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
venerdì 31 agosto 2001
--immersioni: "IL RELITTO DI MOLARA"
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