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PESCARA, PE - Pescara, Italy


Affascinato d'immersioni che ho sempre praticato in apnea, poi dal 1981 con autorespiratori (A.R.A. / A.R.O. / E.C.C.R.) e fin da ragazzo frequentatore della montagna, costantemente armeggio con, pinne, maschere, autorespiratori, corde, ramponi, piccozze e sci.
Tuffi ed ascensioni qui li racconto con "filmetti", parole e foto.

mercoledì 2 novembre 2011

--immersioni: "4 PAIA DI SCARPE"

UN SOLITARIO VIAGGIO SOTTO IL LAGO DI PATERNO

Curvo a destra, lasciando così la Strada Statale numero 4, per imboccare una traversa laterale che in poco meno di un minuto d’orologio mi porta alla meta odierna.
Spengo il motore e scendo dal furgone.
I miei occhi osservano un tranquillo e classico paesaggio da spensierata gita domenicale: un piccolo laghetto sulle cui acque superficiali, appena increspate da una brezza, nuotano starnazzando palmipedi.
Completano l’icona perfetta ombrosi arbusti, canneti sparsi, una spiaggia erbosa ed un piccolo bar sotto un chiosco.
Questa, però, è solo una fugace immagine.
I miei occhi già vedono oltre... Anzi, vedono sotto le acque e, decisamente, devono cambiar registro.
Mentre galleggio un po’ in superficie prima d’immergermi, accendo i fari sul caschetto e la torcia principale.
Scarico un filo d’aria dal giubbetto ad assetto variabile, quel tanto che basta per farmi scendere ed iniziare il viaggio.
Per il momento riesco a vedere le lunghe piante di colore verde che tappezzano questa zona di fondale. Appena sotto la base di queste, un primo strato d’impalpabile sedimento limaccioso già chiude le prospettive.
Lentamente l’attraverso fino ad una decina di metri di profondità posizionandomi di fronte al pendio inclinato fatto di sassi, ad una distanza massima di un paio di palmi perché altrimenti lo perderei di vista.
I miei occhi percepiscono nuvole di fango, ombre di piccoli massi ed il buio attorno fattosi cosa concreta, come quando si spegne l‘interruttore lasciando di colpo una stanza allo scuro completo.
Rallento ulteriormente la discesa iniziando a procedere pianissimo palmo dopo palmo, da questo momento in poi sarà questa la mia velocità di crociera.
La morfologia del fondale cambia: inizia una fascia rocciosa verticale che non distinguo nettamente all’inizio ma che, comunque, da questo punto e per una certa distanza sarà sicuramente un individuabile ed utile riferimento.
La nebbia fangosa fitta dirada appena quanto basta da consentire ai miei occhi di poter scrutare un metro davanti.
Scendo ancora notando le striature della roccia che caratterizzano la parete.
Mi fermo in assetto e punto il fascio luminoso sotto le mie pinne per osservare la strada che mi aspetta, poco sotto la roccia ha una rientranza che forma una volta strapiombante che in breve raggiungo.
Le bolle che escono dai baffi di scarico dell’erogatore incontrando il soffitto calcareo e risalendo poi dove questo ritorna ad essere verticale, smuovono il sedimento depositatovi sopra, che così inizia a piovermi sopra.
Mi sposto un po’ alla mia sinistra.
Sono arrivato a 25 metri di profondità e prima di proseguire ancora verso il basso ricontrollo i rubinetti del bibombola.
Un banco di nebbia di limo ricompare, mi farà compagnia per tutto il seguito dell’immersione.
Giungo alla base del bastione di calcare che ha le sue fondamenta a 35 metri.
Gli orizzonti visivi sono tornati ad essere ristrettissimi e per questo motivo il potente fascio dell’illuminatore subacqueo, quando incontra la massa di minuscole particelle in sospensione, crea un effetto di riverbero di luce fastidioso alla vista. Di spegnerlo però non se ne parla, il nero è totale.
Dai 37 metri mi pongo con il corpo parallelo al fondale, non più verticale come sopra, ma fortemente inclinato e vado ancora giù.
In superficie lo strumento mi indicava una temperatura di 13-14 gradi, già da qualche tempo, però, si è stabilizzata a 7.
Procedo molto piano e costantemente perchè non voglio perdere di vista, per quello che riesco a scorgere, il fondo. Incontro rari sassi che spuntano come isolette da un mare di melma avvolto da foschie sempre più fitte.
Questo è il segnale che mi sto avvicinando versa la zona più profonda e centrale del piccolo lago dove per gravità si vanno a depositare i detriti che da sopra cadono. Percepisco anche la diminuzione di pendenza del declivio.
Giungo a 52 metri.
Lascio scivolare la luce il più possibile radente sul fondo e scandaglio il buio brandeggiandola lentamente da destra a sinistra e viceversa.
Invece di ritornare verso l’alto invertendo di 180 gradi la mia direzione, compio una lunga accostata in diagonale alla mia destra e piano inizio a riguadagnare metri, in tal modo andrò ad esplorare una zona sconosciuta.
Durante questa risalita non incontro fasce rocciose, ma solamente ancora finissimo limo. La visibilità scarsissima ed il buio, arrivato a questo punto, mi sono quasi diventati familiari.
Vado ancora verso l’alto percependo ad un certo punto una lieve variazione di luce. Il nero è diventato un po’ più nero. C’è qualche cosa di grande davanti. Cautamente mi ci avvicino ed allungo la mano per sentire di cosa si tratta. E’ un grosso masso sul quale vado praticamente a sbattere con il vetro della maschera.
Con il tatto dei guanti di spesso neoprene lo tocco e l’aggiro e vado un po’ più in alto dove, finalmente, ritorna un lievissimo chiarore formato ad un vago alone di verde scurissimo che, posso assicurare, è grasso che cola!
In breve dal verde notte si passa a sfumature della stessa tinta sempre meno cupe.
Ad una decina di metri di profondità la nebbia scompare definitivamente ed i miei occhi possono tornare a guardare cose diverse da fango e sassi.
L’ultima parte dell’immersione la passo a decomprimermi tra l’intreccio delle radici e dei rami caduti in acqua dalle sponde, dove incrocia qualche raro persico che fugge velocissimo al mio comparire.
Nel momento in cui riemergo, dal mio punto di vista a pelo d’acqua , osservo dal bassissimo verso l’alto quattro paia di scarpe con i relativi piedi dentro e tutto il resto dei corpi appresso un po’ più su. E’ una famigliola che stupita mi osserva come se si fosse trovato di fronte un alieno. Quello che credo essere il capofamiglia mi domanda meravigliatissimo se mi sono … immerso!
Sto ancora pensando a tutte le fasi del tuffo, al buio, al limo, al verde scuro e sarcasticamente vorrei rispondergli che sono andato a sciare!
Mi mordo la lingua ed accenno un si appena abbozzato con il capo e, dopo aver tolto le pinne, risalgo la sponda.
Il solitario viaggio è terminato.

Giacinto Marchionni

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