Oramai girando per le città gli sguardi non possono fare a meno, purtroppo, d'osservare muri, facciate di case, monumenti, mezzi pubblici e quant'altro, letteralmente imbrattati di scritte e disegni vari, fatti generalmente con vernici a spruzzo contenute in bombolette spry, che, decisamente fastidiosi, deturpano il paesaggio urbano... Molto spesso i contenuti di questi "graffiti" hanno dei significati per lo più conosciuti solamente agli anonimi autori, altre volte la maleducazione la fa da padrona. In certi casi, rari, s'intravede una qualche forma di comunicazione. Approffitando di un tiepido primo pomeriggio dell'ottobre dell'anno scorso, mentre facevo una passeggiata in bicicletta sul lungomare della mia città, Pescara, fui colpito da una delle tante scritte "spry" che sporcavano il muretto che separa il battuto della passeggiata in mattoncini, dalla spiaggia. Mi fermai e lessi le grandi lettere rosse con i bordi poco netti ed un po' sfumati a causa dalla vaporizzazione della vernice sotto pressione. In dialetto pescarese dicevano: "ARDETECE' LI' CANNILICCHIE' !" In italiano: "Ridateci i cannelicchi". La vista di questa scritta, ai più apparentemente banale, suscitò in me una serie di ricordi oramai riavvolti dallo scorrere del tempo, ma ora così, d'improvviso, srotolati e leggibili. "Cannelicchio" è il nome comune di un caratteristico bivalve dalla forma di rettangolo molto allungato, più o meno di una decina di centimetri di misura, che vive conficcato nella sabbia. Il canelicchio era il centro dell'universo di noi ragzzini pescaresi, non ancora adolescenti. Esso rappresentava l'ambita preda di lunghe giornate di pesca, passate a mollo nell'acqua per ore ed ore! La caccia, certo, non era delle più semplici. Il mollusco, come dicevo prima, vive completamente conficcato nella sabbia in posizione ritta. Nella sua parte inferiore c'è la lingua, così noi la chiamavamo, un'appendice muscolosa carnosa che stà infilata nella rena, che di colpo, contraendosi fa velocemente scivolare il corpo del mollusco protetto dalle sue valve geometriche, quando l'animale sentendosi minacciato vuole sfuggire da qualche pericolo che arriva dall'alto, scappando nei suoi meandri sotterranei. Sull'altra estremità, quella che si trova a livello della rena, ci sono due buchi: uno è un sifone che pompa acqua e quindi nutrimento all'interno dell'organismo, e l'altro è un sensore di onde di pressione, praticamente un orecchio. Noi, all'epoca, questi due buchini un po' asimmetrici tra loro uno un po' più grande dell'altro, erroneamente li chiamavamo occhi. Le nostre conoscenze in materia, d'altronde, non erano basate su studi condotti a tavolino con materiale cartaceo, ma sull'antica tradizione tramandata oralmente da generazioni e generazioni di accaniti pescatori che ci avevano preceduti nel tempo! Il fatto di chiamarli occhi, però, aveva un suo fondamento basato sull'osservazione diretta sia dell'animale, che del suo comportamento. I due buchi radenti la sabbia del fondo, visti dall'alto, con la maschera sul viso, e con i raggi del sole che entravano in acqua un po' inclinati, riflettevano come un barlume similmente a due veri occhi. Quando poi ci si avvicinava all'animale, "lui", siccome ci aveva visto, questo era il nostro logico ragionamento, se la svignava sottoterra. "Lui", invece, ci sentiva arrivare. La prima regola che il pescatore doveva imparare era, inanzitutto, quella di saper riconoscere i, per noi, famosi 2 buchini. Altri molluschi che vivono dentro la terra, come vongole e telline, hanno comunque sempre i due "occhi", e spesso il pivolo della "banda di fratelli" prendeva fischi per fiaschi, scambiando le tracce superficiali delle statiche ed inermi vongole per i buchi degl'infidi e sfuggentissimi cannelicchi. Poveretto il pivolo della cricca: l'onta che doveva subire passava attraverso le beffarde parole dei "nonni" che con lazzi e prese per il fondoschiena, schernivano il malcapitato. Questa è stata la dura gavetta dalla quale siamo passati inesorabilmente tutti. La seconda regola da apprendere, avidamente ascoltata sempre dai poveri tartassati "pivolini", era quella d'ingaggio con il nemico e preda giurata! Gli anziani della tribù dicevano che l'avvicinamento doveva essere effettuato lentamente e mai direttamente sulla verticale dell'essere, pena la fuga dell'animaletto, sempre perchè ci aveva ...visto! "Acquisito" il bersaglio, e quà veniva il tosto, silenziosamente, senza far rumore e schizzi con i piedi palmati di gomma, bisognava scivolare sott'acqua in diagonale rispetto all'ignaro, con il braccio disteso e le dita della mano unite a mo' di paletta, con rapida mossa inchiodare con i polpastrelli il corpo calcareo contro la sabbia, elemento, questa, che così si trasformava per il poveretto da sicuro rifugio in inesorabile trappola mortale. Questa era la teoria, bella, perfetta, semplice, come tutte le teorie.... Nella realtà, prima di divenir abili pescatori di cannelicchi, si passava attraverso un tirocinio fatto di polpastrelli delle dita dolorosamente tagliati dagli affilati bordi superiori dei duri gusci, un'infinita serie di tuffi infruttusi, avvicinamenti perfetti seguiti, poi, da guizzi finali sfocianti nella raccolta di un semplice pugno di scura sabbia, o al massimo una grande vongola. Insomma, a quei tempi, non ci furono mai parole più sagge dell'antico proverbio che dicevano, e dicono, che: tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare! Arrivò, prima o poi per tutti, finalmente il GRANDE GIORNO, quello della prima cattura... Uh, eccoli lì, gli occhietti, uno un po' più piccolo dell'altro con i bordi un po' sfrangiati (come da manuale!) rimangono al loro posto (per fortuna!). Scivolai con tutto il corpo, già infreddolito dalla mia estrema magrezza dell'epoca unita alla lunga permanenza nell'acqua con addosso solo il costume da bagno. "IL BRACCIO TESO E LE DITA UNITE", le scare parole dei saggi erano da tempo stampate a lettere di fuoco dentro la mia mente, ed ora le vedevo sfolgoranti più che mai! Ora,o meglio, allora o mai più! Deciso diedi un ultimo colpo di pinne e di reni, rapido infilai la mano nella sabbia, e ... VVVAIIIII! Lo bloccai là! Impotente il "mollusco" non poteva muoversi di un sol millimetro appiccicato al muro di sabbia! Velocemente, con il pollice della stessa mano, completai la presa del cannelicchio dall'altro lato del suo corpo. Arrivò la parte finale, quella più delicata, quella che se sbagliata poteva vanificare tutto il ben fatto fin'allora. E' incredibile come un'esserino così piccolo, però conficcato nel suo elemento di sedimento, quanta forza possa avere. Da una parte tiravo io verso l'alto, mai a strappi. Dall'altro "lui" in direzione opposta facendo una fiera resisteza con la sua lingua che cercava di conficcarsi sempre più a fondo per gudagnar millimetri vitali. Io non mollai, ed un po' alla volta iniziai a sentire che le sue forze venivano meno. Feci piano, anzi pianissimo, ma finalmente sfilai del tutto il corpo del poverello stremato dallo sforzo, con la lingua penzoloni! La lingua! Un cannelicchio sanza la lingua è come un panino senza del buon ed abbondante prosciutto dentro! Semisfiatato dalla lunga apnea balzai fuori dell'acqua con il condannato stretto nella mano! Che soddisfazione! Il cerchio si chiudeva ed iniziò un lungo periodo di caccia con lo scopo di non fare prigionieri! Allora nascevano amicizie, coalizioni, partnership, con gli amici cacciatori, che, però svanivano come la nebbia al sole, di colpo, quando uno della "banda di fratelli" acchiappava più cannelicchi degli altri soci temporanei. Le gelosie territoriali, retaggi poi neanche tanto lontani dei nostri antenati che qualche tempo fa vivevano sopra gli alberi, esplodevano con tonanti paroli dai contenuti decisamente...poco urbani che non di rado finivano in piccole risse a suon di sberle! Con l'affinarsi della tecnica di cattura andavamo a pescarli sempre più lontani dalla riva ed in acque sempre più fonde, dove per logica selezione non naturale di cui "NOI" dettavamo le regole, rimanevano solo quelli più grandi e più difficili da prendere. I cannelicchi li mangiavano, li vendevamo ai ristoranti di pesce della riviera pescarese che li pagavano profumatamente, li regalevamo alle...amichette... I cannellicchi, il mare, erano al centro del nostro universo. Un inverno, tutta la costa abruzzese fu colpita da forti mareggiate che divorarono decine e decine di metri del bell'arenile che corre per chilometri dalle nostre parti. L'acqua arrivò fin sull'asfalto della strada, diversi stabilimenti balneari crollarono inesorabilmente minati dall'erosione attorno alle loro fondamenta. Le amministrazioni dovettero per forza di cose correre ai ripari per salvaguardare la costa sabbiosa ed i proventi che arrivavano dai villegianti che venivano a godersi queste belle spiagge, e così furono posizionate delle scogliere artficiali frangiflutti a mitizzare la forza del mare durante le forti buriane di grecale, il vento dominante di queste parti.
Per noi, abitutati a vedere il mare libero a perdita d'occhio fino all'orizzonte, questa nuovo prospettiva all'inizio ci sembrò un po' strana, poi, come tutte le cose, con il tempo ci facemmo l'abitutdine, e gli "scogli" divennero parte del nostro piccolo mondo di divertimento. "ENSIS SILIQUA MINOR" e "SOLEN MARGINATUS", sono i pomposi e quasi intimorenti nomi scientifici delle specie di cannelicchi che lungamente abbiamo pescato. Il primo, molto comune, con il guscio calcare un po' più fragile del secondo, che era preda più rara da trovare, ambedue, però, avevano bisogno di un sedimento sabbioso con una granulometria non troppo fine. Con il posizionamento delle nuove barriere artificiali di protezione della costa, di conseguenza s'è modificata la morfologia del fondale, ossia i normali spostameti della sabbia sott'acqua, causati dal movimento di onde e correnti, similmente come avviene quando si spostano le dune del deserto a causa del vento, ha portato delle masse di nuova sabbia con granulometria molto più sottile fin sotto costa, decretando, per così dire, la scomparsa dei cannelicchi che non avevano più la loro terra per attecchire. Almeno questa è stata la spiegazione che un amico, esperto malacologo, mi ha dato. Ora che la causa sia stata questa, oppure altra, questo io non lo so dire. Di una cosa son certo, però, che i cannelicchi non ci son più. Nell'ottica di una giusta ripulita alla città, sono state cancellate tante scritte sui muri, e con un pizzico di rimpianto, per me, è scomparsa anche quella che diceva: ARDETECE' LI' CANNELICCHIE' ! la cui vista, per qualche momento, mi ha fatto ripercorrere il bellissimo periodo dell'infanzia spensierata, allegra e bella.
Giacinto Marchionni
DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
mercoledì 27 gennaio 2010
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Si bell
RispondiEliminaMai come te...nel cappuccino quanto zucchero?
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