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PESCARA, PE - Pescara, Italy


Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.

domenica 31 marzo 2013

--immersioni: "PASQUA 2013"

E' ripristinato il collegamento viario nella Valle del Sagittario che era stato interrotto a causa di una frana che aveva fatto crollare un tratto di strada subito dopo la prima galleria scavata nella roccia nella tratta tra Anversa e Scanno.
Automaticamente, quindi, vengono ripristinate anche le immersioni nella zona.


martedì 19 marzo 2013

^^montagna: "TOPPE VURGO DALLA VALLE GENTILE"

Abbiamo trovato una pesantissima neve, ma come sempre nonostante la fatica ne è valsa la pena.
Attraverso bellissime vallette incassate che si susseguono tra boschi e strette gole rocciose, via via si sale ed i panorami, non solo quelli per gli occhi, ma anche quelli per lo spirito divengono sempre più ampi.

lunedì 18 marzo 2013

--immersioni: "LA FREDDA NOTTE"

Ritorno all'Acquacetosa del lago di Castelgandolfo che fino a circa 25 metri di profondità mi accoglie con acqua un po' fosca.
Più giù, invece, gli orizzonti di visibilità si allargano mantenendo comunque una sospensione di corpuscoli più grossolani che in certi momenti mi facevano sembrare di essere in mezzo ad ad una strana nevicata.
Al contempo sono sempre affascinanti e severi i panorami sommersi di questo sito d'immersione che, a prescindere dall'ora del giorno, oltre certe profondità sono sempre avvolti dal buio.
In risalita incrocio ancora nuove carcasse di telai d'automobili buttate quaggiù.

venerdì 8 marzo 2013

--immersioni: "FREDDE E BUIE, MA SEMPRE DOLCI ACQUE!"

Immergersi con autorespiratore è un’esperienza unica ed irripetibile. La prima sensazione nuova che tutti i sub hanno provato è stata quella del riuscire a respirare nell’irrespirabile acqua.
La seconda cosa che si sperimenta è quella del potersi muovere liberamente nelle tre dimensioni del fluido; una cosa del tutto straordinaria per noi “terrazzani”che sin dal primo giorno nel quale veniamo alla luce ingaggiamo un perenne duello con la forza di gravità, la quale ci nega inesorabilmente la terza dimensione dello spazio.
Già queste due novità da sole basterebbero per motivare e far continuare lo straordinario viaggio dentro l’acqua, ma non mancano settori di approfondimento e di maggior interesse in diverse aree come la fotografia e la videoripresa subacquea, l’immersione su relitti, le immersioni profonde, la biologia, l’archeosub, le grotte sommerse, e le acque dolci.
Insomma, i campi di “gioco” che ci offre il mondo del silenzio sono davvero grandi e svariati con ancora ampie zone inesplorate.
Bisogna però tenere sempre presente chiaramente a mente le regole sulla fisiologia dell’immersione. Sia l’esperto sub di vecchia data che il novello sommozzatore troveranno una personalissima nicchia nella quale far galoppare a briglia sciolta la loro fantasia ed inventarsi nuovi gratificanti campi d’elezione.
E’ proprio questo, secondo me, il bello di questo gioco!
Qui vige la libertà assoluta dove non si possono mettere recinti alla creatività e, soprattutto, non si possono ingabbiare dentro schemi prefissati i progetti che ogni singolo sub è in grado di fare.
Rientrando da immersioni lacustri, frequentemente mi sento rivolgere da persone non pratiche della nostra disciplina la domanda di cosa io trovi di bello in quei posti dove abitualmente ci sono condizioni di scarsa visibilità, acqua fredda e toni decisamente meno brillanti rispetto alle multicolori scogliere marine. E’ una bella domanda alla quale è già difficile rispondere a chi pratica immersioni, naturalmente non “dolci“, figurarsi farlo con qualcuno che è proprio all’asciutto di cose da sub.
Probabilmente la motivazione iniziale che spinge un subacqueo ad immergersi nelle acque non salate è quella di trovare un’alternativa o un ripiego ad un mare con bei fondali un po' troppo lontano o poco praticabile: una necessaria valvola di sfogo all’irrefrenabile voglia di stare dentro l’acqua che tutti noi sub abbiamo.
Per quello che mi riguarda non considero il lago un ripiego o una seconda scelta rispetto al mare, assolutamente. Lo considero un ambiente con sue caratteristiche e peculiarità, con suoi colori, con sue sfumature, con proprie regole, così come il mare ne ha di diverse e più note ai sub e non.
Ricordo perfettamente come da ragazzino, ogni volta che durante una gita si visitava un bacino lacustre, si affacciava nella mia mente quell’indelebile domanda: cosa può esserci sotto quello specchio d’acqua? Ecco... è proprio questa la mia motivazione primaria, la curiosità. La stessa identica ed immutata curiosità di allora, la curiosità di scoprire cosa c’è in un luogo che non conosco. Sia esso all’aria o sott’acqua, ed in quest’ultima situazione non vi è differenza se si tratta di acqua salata o dolce.
Per le già citate condizioni di visibilità ridotta e per la temperatura più bassa del liquido, nell’immersione in un bacino d’acqua dolce si incontrano oggettivamente condizioni più severe ed impegnative rispetto a quelle che mediamente si trovano nelle immersioni in mare. La protezione dal freddo ha la priorità assoluta, così come l’abitudine all’utilizzo della bussola sott‘acqua. Abilità che può essere fondamentale per trarsi d’impaccio in quelle situazioni molto facili a trovarsi di acque che offrono di colpo un limitato campo visivo, similmente a come accade trovandosi in piena nebbia dentro un bosco quasi del tutto sconosciuto.
Riuscire a conoscere grazie alla bussola quale direzione si sta prendendo e controllare la quota alla quale ci si trova, sono pratiche fondamentali quando ci si ritrova nella fitta bruma del sedimento subacqueo che quasi annulla gli spazi visivi. Inoltre queste pratiche aiutano a scacciare i fantasmi che la mente può crearsi da sola in questi parametri particolari.
Per muoversi in acqua in queste condizioni occorre oltre che un buon addestramento anche molta pratica da sviluppare seguendo la politica propedeutica dei piccoli anzi, meglio ancora, piccolissimi passi. Con il tempo e con l’assiduo esercizio la gestione dell’orientamento in acqua con scarsa visibilità diventerà non dico una passeggiata, questo mai, ma sicuramente più abbordabile. La ripetizione dei gesti porterà ad un condizionamento tale che la poca o la scarsa visibilità saranno vissute dal sub prevalentemente come un fattore oggettivo dell’immersione verso il quale prendere le opportune contromisure, e non più come un elemento fortemente stressante.
Mi sento di poter affermare tranquillamente che la piena presa di coscienza della tecnica della navigazione con la bussola in acque molto torbide assicura al sommozzatore una padronanza della situazione che lo allontana di parecchio dalla sensazione interiore, spesso non oggettiva e non reale, di tangibilissima tensione.
Il superamento di questa fase che si accompagna alla falsa sensazione di aver acquisito preziosissime e “soprannaturali” abilità subacquee, porta ad un umanissimo sentimento di egocentrico narcisismo che si spera “vivamente,” duri solamente il tempo necessario per rendersi conto che non si è stati presi a benvolere da un qualche portaborse di Nettuno, Poseidone o altri dei delle acque profonde, ma che si è diventati più semplicemente un po’ meno goffi, e non più bravi, come penetratori di fondali lacustri.
La memorizzazione della zona d‘immersione, previa visione e studio a secco della carta del lago con le quote batimetriche, aiuterà ulteriormente il sub che così avrà acquisito un ulteriore tassello degli scenari che incontrerà per la riuscita della sua immersione programmata. Ora, con questo bagaglio d’esperienza e con un’adeguata protezione contro il freddo, un sub appassionato ed assiduo praticante può spingersi dentro le acque dolci e spessissimo buie di un qualsiasi lago. Il campo di “gioco” non attende altro che di essere esplorato con quel pizzico di perenne curiosità che “dovrebbe” invogliare ognuno a nuove piccole o grandi scoperte.
Per quello che mi riguarda quando parlo di scoperte subacquee non intendo solamente ritrovamenti di relitti o di chissà quali tesori sommersi, magari! In una vita d’immersioni il più fortunato dei fortunati quando ne trova uno solamente può davvero dire di aver toccato il cielo con un dito. Intendo più semplicemente la scoperta, per esempio, di una nuova zona di fondale che non si era mai vista prima. Posare gli occhi per la prima volta su posti nuovi di certo solletica e gratifica la mia curiosità oltre misura. Questo è l’innesco che naturalmente è perennemente acceso per il mio carburante.
Lievitare sospesi a qualche spanna dal fondale che con forte inclinazione scivola via sotto di me perdendosi invisibilmente non si sa dove: sia nel mare azzurro o in un lago nero l’emozione è sempre la stessa, come l’attrazione di un magnete fortissimo. Dopo determinate profondità l’acqua può diventare buia a causa della presenza di alghe cellulari che spesso occupano una fascia d’acqua di diversi metri in prossimità della superficie che crea una vera e propria barriera fisica per la radiazione del sole. Solamente le luci delle torce da sub che ci portiamo dietro, flebili lampioncini persi nella fredda notte intiepidiscono un po’ lo scuro avvolgente ed appena di più lo spirito.
I fasci luminosi rasentano bassi le lievi increspature del fondale e sciabolano davanti per sondare interrogativamente la sconosciuta acqua che si nasconde poco più avanti. E’ questo il punto di domanda che al tempo stesso mi “attrae e respinge”. Forse il fascino di un’immersione, e nel caso particolare di una lacustre, per me sta proprio in questi due opposti che spingono ad esplorare l‘ignoto che nella grande maggioranza delle volte non nasconde nulla di particolare. Questo è il gusto del gioco: l’eccitazione e l’incertezza della caccia sono più importanti del tesoro.
Grandi massi, scogli, tronchi, pareti di roccia, piante, carcasse di ogni tipo e dimensione d’archeologia industriale, lunghi e sfilacciati moccoli verdi d’alghe pendenti, a volte canne, larve d’insetti pulsanti come organismi marini planctonici, lenze da pesca in nylon, reti incastrate e perse, fondali sassosi e fangosi, lumache con i loro gusci, granchi e gamberi, prendono vita per il limitato tempo nel quale entrano nel cono luminoso dei fari generando dietro di loro tremolanti e danzanti ombre in movimento che subito dopo scompaiono inghiottiti nuovamente dal buio perenne.
Spesso la presenza del compagno d’immersione, reso comunque invisibile nonostante la stretta vicinanza fisica, è testimoniata solamente dal rassicurante ed amichevole rumore delle bolle che fuoriescono dal suo autorespiratore. Tutte queste sensazioni accomunate nel medesimo istante mi fanno sentire piccolissimo ed avvolto, oserei dire quasi protetto, da questa enorme massa d’acqua. Forse si risvegliano rimosse, profonde ma mai dimenticate e lontanissime memorie uterine?
Già se si paragona il movimento di un subacqueo alla velocità che si può ottenere in altre attività umane, noi siamo relegati agli ultimi posti della classifica, figurarsi farlo anche con l’acqua che offre condizioni di visibilità molto ridotte. La progressione per forza di cose allora avverrà in maniera ulteriormente rallentata. Ogni singolo movimento, demoltiplicato verrà vissuto in piena coscienza forse anche perché la vista, il senso principale che normalmente è stimolato durante un’immersione, riceve scarsissime sollecitazioni dall’esterno e quindi automaticamente lo “sguardo” viene rivolto all’interno di se, aiutandoci a sentire ogni singolo muscolo, ogni singolo respiro, ogni singolo battito del cuore, ogni singolo brivido di freddo.
Il forzato rallentamento dell’attività muscolare, a causa dello scarso movimento, non produce più il solito piacevole calore di risulta, ed allora è di fondamentale importanza essere adeguatamente coibentati. La marcia forzata a velocità ridotta allora aiutano ad amplificare le sensazioni e si impara quindi ad ascoltare sempre meglio il proprio corpo. Con questo nuovo “senso” acquisito, mantenere il “motore” al minimo dei giri per ottenere il massimo del rendimento diviene operazione di “routine” durante lo svolgimento di tuffi di questo genere. L’immediata percezione, per esempio, del lieve aumento della frequenza della pulsazione cardiaca dovrà innescare con immediatezza, nel sub pratico, una risposta che nel concreto lo porterà a rallentare l’energia muscolare investita nella pinneggiata. I pistoni del “motore“, quindi, riprenderanno il loro lento e rassicurante sommesso tambureggiare.
Il colore dell’acqua attraversa tutte le sfumature del verde, partendo da quello più chiaro della superficie a quello più scuro che si trova più in basso fino a divenire nero. Qui è quasi possibile sentire il diaframma dell’iride aperto al massimo con le proprie pupille dilatate, adattate per percepire tutte le sfumature del buio. I pesci che si incontrano, mediamente in numero nettamente minore rispetto agli affollati branchi dei cugini marini, sono più schivi e circospetti.
Solo i predatori d’eccellenza delle acque dolci i lucci, che ricordano nell‘aspetto esteriore i barracuda, spavaldamente similmente al modo di fare di bulli di quartiere, non cambiano assolutamente lato della “strada” quando incrociano le loro rotte con le nostre. Questo loro comportamento è ulteriormente rimarcato dall’insolenza delle loro inespressive pupille nere fissate su di noi fino all‘ultimo secondo come in un duello fatto di occhiatacce per far abbassare per primo lo sguardo all‘altro, chiara segnalazione di sottomissione. Sono loro i “rais” della zona e noi gli intrusi.
I colpi delle gambe sulle pinne devono essere blandi e misurati pena il sollevamento dal fondo del classico sedimento di lago simile a fango, e molto più fine rispetto a quello marino, che in pochi attimi potrebbe ridurre praticamente a zero centimetri l’orizzonte visivo oltre vetro della maschera. Sopra pavimenti di fondali lacustri con inclinazione molto accentuata basta spostare inavvertitamente un piccolo sasso per far generare una polverosa e silenziosa valanga verso il basso che, in meno che non si dica, aumenta di dimensioni e di velocità similmente come accade per le naturali valanghe di neve sopra le montagne. L’unica differenza rispetto a queste è che invece di essere candide sono di color nero.
Così come scendendo la radiazione luminosa era stata assorbita tutta dopo pochi metri di profondità, in risalita, all’improvviso, come agendo su un interruttore, un “clic” fa ritornare tutto irrorato del piacevole, ed all’inizio fastidioso per le retine, chiarore degli strati più superficiali dove abitualmente si smaltiscono gli ultimi minuti di decompressione prima di risalire all‘aria.
Ritornati nell‘ambiente naturale, si, anche i tuffi “dolci” purtroppo hanno termine, arrivati a questo punto con ancora le pinne strette tra le mani, la pesante attrezzatura addosso che sgocciolando forma una pozza d’acqua sotto i piedi e pregustando già il the ben caldo e zuccherato che attende d’esser bevuto, posso assolutamente garantire mettendoci la mano sul fuoco e scommetterci qualsiasi cifra con la matematica certezza del cento per cento di essere più che sicuri di vincere che, puntualmente, qualche passante vedendosi spuntare dall’acqua verdastra ed in apparenza poco invitante del lago poco distante inaspettatamente un sub, incuriosito ed un po’ meravigliato interrogativamente gli chiederà: “Ma nel lago, cosa c’è di bello da vedere?”

Giacinto Marchionni