DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
martedì 21 luglio 2020
^^montagna: "MONTE BIANCO 4807 MT"
Partiti da Pescara siamo arrivati ad Aosta nel pomeriggio di giovedì 16 luglio. Dopo il pernotto, la mattina successiva abbiamo attraversato il traforo del Monte Bianco per raggiungere nella valle di Chamonix la località Les Houches (1007 mt), dalla quale alle 8.30 ci siamo imbarcati sulla prima corsa della funivia che ci ha fatto scendere a Bellevue (1770 mt), per la coincidenza con il trenino a cremagliera che ci ha trasportato su fino al Nid D'Aigle a 2372 metri di quota.
Giunto il momento di caricare gli zaini in spalla e iniziata la nostra marcia di avvicinamento verso il Rifugio Gouter, logico punto di partenza per la VIA NORMALE FRANCESE AL MONTE BIANCO. Il sentiero ripido si sviluppava verso nord-est a risalire una valle pietrosa che abbiamo percorso immersi nella nebbia, e dalla quale siamo usciti a circa 2600 metri più o meno all'altezza di una capanna forestale.
Con i panorami sgombri abbiamo avuto il primo contato con i maestosi ghiacciai del versante settentrionale del Monte Bianco osservando verso nord-est, un pò lontana ed inconfondibile l'Aiguille Du Midì. Seguendo sempre i tornanti della ripida traccia dopo due ore di siamo arrivati ai 3228 metri del piccolo Glacier Tete Rousse in prossimità dell'omonimo rifugio, dove abbiamo sostato un momento a mangiare e bere qualcosa.
Ripresa la marcia, per un breve tratto di pendenze moderate abbiamo attraversato quindi il ghiacciaio fino a giungere al famigerato Gran Couloir che proprio nel pezzo dove si snodava la traccia aveva pochissima neve dura. Velocemente ci siamo portati quindi sull'altra sponda a toccare le rocce, che poi molto lungamente abbiamo seguito sulla massima pendenza e con passi di I° e II° mai difficili, con a destra la parte alta del Glacier de Bionassay ed in basso il mare di nuvole dal quale eravamo usciti.
Dopo l'ultima paretina da scalare, molto sudati abbiamo posato i piedi in prossimità del vecchio rifugio Gouter ed in breve siamo entrati dopo quattro ore di ascensione nel nuovo e dall'aspetto avveniristico, forse un po' troppo per i miei gusti, rifugio a 3817 metri a concludere la prima giornata di montagna.
All'interno il calore dei rivestimenti in legno chiaro compensava la freddezza metallica del guscio esteriore ma, ahi noi, con tanta modernità e tecnologia palesemente sfoggiata alla vista, ben presto abbiamo scoperto che già da parecchio tempo manca l'acqua corrente! E la cosa è diventata ancora più stridente quando abbiamo letto che il rifugio è costato qualcosa come SEI MILIONI DI EURO: abbiamo chiuso un occhio, anzi tutti e due. Alle 18.30 ci siamo seduti per la cena a base di minestra, formaggio, carne bollita e dolce. Quindi a nanna nei letti a castello.
Sarà stata la quota, ma io non ho praticamente chiuso occhio ed ho anche avuto un gran caldo, mentre Massimo ha dormito.
Svegliati, o meglio io alzato, all'una e trenta, abbiamo fatto colazione alle due, ed alle due e quarantacinque siamo usciti fuori del Gouter accolti da una notte serena con un bel cielo stellato e con l'aria non fredda.
Così con le lampade frontali accese a farci strada nel buio, abbiamo iniziato a salire i faticosissimi 1000 metri di dislivello che ci separavano dalla vetta ben consapevoli del fatto che più andavamo in alto più la quota avrebbe reso duri i passi rimanenti, perchè non abbiamo dimenticato neanche per un momento che meno di 48 ore prima eravamo al livello zero metri del Mare Adriatico di Pescara. Perciò negli zaini avevamo messo solo qualche capo per coprirci di più in caso di necessità , da mangiare un paio di barrette ed un po' d'acqua, insomma il minimo peso indispensabile.
Prima in leggera salita e poi su pendenze aumentate abbiamo raggiunto il Dome Du Gouter (4304 mt), quindi in lieve discesa il Col Du Dom (4250 mt), da dove arriva chi sale dal Rifugio Gonella, per poi risalire alla Capanna Vallot (4362 mt), dove siamo stati accolti da un vento teso da nord-est che sollevava polvere di neve gelata.
Entrati nel ricovero ci siamo coperti per bene con tutto quello che avevamo, quindi dopo un breve recupero siamo usciti ad affrontare i 500 metri di dislivello finali mentre ad est il chiarore dell'alba iniziava a prendersi via via sempre più spazio.
Andando a destra abbiamo calcato la linea di cresta che impennava decisamente e che a causa della fatica ci pareva molto più inclinata. Prima di ogni passo occorreva fare una profonda inspirazione e poi andare, ad aumentare anche solo di pochissimo l'andatura costava tanto.
Sulla neve durissima i ramponi e la piccozza aggrappavano con sicurezza, ma non per questo potevamo allentare la concentrazione perchè ai lati la cresta scivolava giù ripidissima.
Mentre il sole basso aveva fatto capolino ad est, ad ovest potevamo osservare la lunga ombra a forma di cono del Monte Bianco andare lontana. In quel momento nella nostra testa avevamo pensieri contrastanti. Da una parte assaporavamo con gli occhi e la mente il piacere e la fortuna di poter essere lì. Dall'altra parta invece c'era la concretezza della fatica fisica diventata palpabile ogni volta che forzatamente aspiravamo aria nei polmoni.
Sui dossi delle Bosses un paio di volte abbiamo avuto l'illusione che ce l'avevamo quasi fatta. Sensazione immediatamente disillusa dal successivo tratto di scalata che si presentava, che gli occhi ingannevolmente qualche metro prima non erano riusciti a vedere. Pareva non finisse più. Non stavamo più neanche a guardare il fantastico panorama attorno, con la mente pensavamo solamente a mettere un passo dietro ad un altro e basta.
Così, piano, con volontà alle sei e quarantacinque, dopo quattr'ore che avevamo lasciato il rifugio, siamo arrivati sulla cupola sommitale del Monte Bianco a 4807 metri di quota.
In quel momento l'unico bisogno che ho avuto è stato quello di stare fermo a respirare profondamente poi, solo dopo qualche minuto, ho assaporato il piacere che eravamo in punta. Ci siamo fatti i complimenti. Attorno a 360 gradi le Alpi.
La discesa l'abbiamo effettuata naturalmente sulla stessa linea di salita. Ci siamo fermati al Gouter a recuperare il materiale che era stato superfluo per la scalata, e poi via giù disarrampicando la parte rocciosa e riattraversando il Couloir. Dopo per la valle pietrosa fino al capolinea del trenino a cremagliera che ci ha trasportato alla funivia sulla quale terminiamo a Chamonix. In serata ad Aosta ci siamo concessi un'abbondante cena innaffiata con birra, vino e gassosa a reidratarci. Dopo la notte con il sonno ristoratore, il rientro in riva all': "...Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti." (Citazione dalla poesia "Pastori" di G. D'Annunzio)
sabato 11 luglio 2020
^^montagna: "OH ... DINO !"
Per la bellissima e forse unica nel suo genere placconata della parete nord-est della Prima Spalla del Corno Piccolo, scaliamo sulle Placche di Odino.
giovedì 9 luglio 2020
^^montagna: "VETTA OCCIDENTALE"
Partiti alle 4 e 30 che era ancora notte dalla località Cima Alta, la prima cosa vista verso est poco alta sull'orizzonte è stata la cometa Neowise, che nella sua orbita attorno al sole di 7000 anni circa, così hanno calcolato gli astronomi, si trova nel suo perielio.
Di buon passo transitiamo per l'albergo diruto, la stazione di monte della funivia dei Prati di Tivo, il rifugio Franchetti, deviazione al Calderone, poi Passo del Cannone e vetta Occidentale del Corno Grande.
In discesa passiamo per lo storico bivacco di Andrea Befile, "Il buco", posto sotto dei grandi massi della morena sotto il ghiacciaio.
martedì 7 luglio 2020
--immersioni: "LA NEVICATA 2"
Praticamente sconosciuto ai sub locali, è sempre tanta per me l'attrazione per questo sito nel quale m'immersi per la prima volta più di una ventina di anni fa, che quando se ne presenta l'occasione nonostante la distanza da Pescara da percorrere in giornata non manco l'occasione di raggiungerlo.
Ed una volta arrivato, lo scomodo e ripido accesso all'acqua da fare più volte all'inizio ed alla fine per il trasporto delle bombole di bail-out potrebbero non essere di stimolo, invece. Evidentemente la curiosità mi ricarica e rinnova sempre la motivazione.
Una volta messa la testa sott'acqua e finalmente sollevato dal peso dell'autorespiratore, mi posiziono ad una determinata batimetrica per raggiungere un ben preciso punto sommerso che ho pedagnato, dal quale poi effettuerò l'accostata verso acque più profonde.
Tutta questa procedura è resa possibile grazie ai bassi consumi dell'E.C.C.R., quando invece la stessa immersione la effettuavo in circuito aperto, per non togliere preziosi minuti alla scorta respirabile, logicamente l'identico tragitto lo percorrevo più faticosamente in superficie a colpi di pinne.
Dentro paesaggi ammantati come neve dalla bianca patina dovuta alle emissioni solforose, nel contrasto luminoso di un secondo piano totalmente buio e senza luce naturale procedo, e nello stesso momento sono meravigliato dalle strane visioni biancastre e concentrato sulle costanti verifiche all'apparato.
Arrivo ad un'ottantina di metri. Il fondale continua giù con identica pendenza. Noto in quella direzione che l'acqua è diventata più lattiginosa, credo a causa della probabile vicinanza della zona di emissione. Inizio la risalita.
Passo tra massi lavici accatastati di tutte le misure, da piccoli a giganteschi, che si alternano a zone del fondale dove lo scuro sedimento vulcanico crea nascoste vallette nelle quali sciamano piccoli persici. Loro fuggono impauriti all'improvvisa comparsa della luce del mio illuminatore subacqueo che innaturalmente squarcia di colpo il buio perenne nel quale normalmente si trovano.
Rispetto alle classiche bombole che visibilmente scaricano le bolle d'espirazione direttamente all'esterno, l'apparato a circuito chiuso emette solo poche bolle in risalita. Questo fatto offre tra l'altro i non trascurabili vantaggi sia dei bassi consumi, come già detto, ed anche di non far perdere al sommozzatore calore corporeo.
L'acqua da buia passa ad un colore verde scuro e poi a sfumare sempre più chiara e trasparente proprio msotto il pelo della supoerficie.
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