DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
martedì 31 dicembre 2013
--immersioni: "LE PAPERE DI SAN SILVESTRO"
A causa del rialzo termico avuto nelle ultime due settimane, c'è stato un importante scioglimento delle masse nevose sui monti tutt'intorno che ha fatto si di caricare a buoni livelli il bacino lacustre di Scanno.
Arrivando al lago, la sensazione che si aveva oggi buttando uno sguardo verso l'acqua era che questa fosse addirittura limpida!
Conoscendo però molto bene gli umori sommersi di questo bel lago d'Abruzzo, personalmente non mi sono illuso più di tanto perchè so perfettamente che ad appena un paio di metri sotto il suo pelo d'acqua, "Lui" manifesta il suo a dir poco ruvido e scontroso carattere.
E non ci si lasci ingannare dalla non eccessiva profondità di 23 metri raggiunta oggi: visibilità scarsissima ed a tratti anche nulla, e temperatura di 6° centigradi dell'acqua (questo ultimo elemento da intendersi non in senso assoluto, ma naturalmente in relazione al sub che le deve affrontare), rendono l'immersione d'impegno fisico e psicologico davvero severa .
Nelle fitte foschie di mota e limo dentro le quali ci muovevamo, l'obbiettivo del nostro tuffo era una singolare paretina rocciosa sommersa che abbiamo intercettato nella fase di risalita.
Alla sua base, come al solito, stanziavano molti piccoli pesci persico che tra gli anfratti rocciosi probabilmente trovano dei ripari.
Nonostante le mani fossero ben protette da guanti stagni e sottoguanti in "pile", alla lunga i 6° di temperatura dell'acqua fisicamente hanno dettato legge facendoci così riavviare verso l'alto per la riemersione.
Abbiamo trascorso il pre ed il post-tuffo di questo ultimo giorno del 2013, in compagnia di una nutrita frotta di simpatiche papere, abituali inquiline di questo bel lido.
martedì 24 dicembre 2013
--immersioni: "IL GROSSO"
Il versante settentrionale dell'Isola di Capraia (Tremiti), è caratterizzato da una lunga, articolata e frastagliata linea rocciosa verticale che con identica pendenza sprofonda nell'acqua del mare.
In questa falesia poco prima della cadente costruzione del vecchio faro dell'isola, oramai in disuso, si staglia un inconfondibile monolito di calcare detto "Il Grosso".
Immergersi in questa zona significa andar giù dritti verso il basso proprio di fronte al muro ricco di vita marina.
Nell'immersione odierna siamo arrivati alla sua base e poi abbiamo proseguito ancora fino a circa 64 metri sulla bella scivolata di rena e sedimento dove, qua e là, dalla sabbia spuntano sparuti scogli.
Passiamo sopra un "granchio melograno", che è detto così a causa della forma tondeggiante a chele chiuse del suo corpo, che ha la grandezza di un pugno, ed il colore del carapace che ricordano il succoso frutto.
Nella risalita abbiamo lungamente costeggiato la colorata falesia sommersa fino a riemergere proprio sotto il faro.
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giovedì 19 dicembre 2013
^^montagna: "BLOCKHAUS"
In compagnia di un cane incontrato per caso, velocissima scialpinistica mattutina da Passo Lanciano (1318mt) alla cimetta del Blockhaus (2142mt), con sempre sotto gli occhi il Mare Adriatico poco più in basso.
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martedì 10 dicembre 2013
--immersioni: "UN PO' PIU' IN LA' "
Immersione nel lago di Castelgandolfo dell' 8 dicembre 2013
E’ ancora buio quando arrivo.
Solo in una zona del cielo verso est, scorgo il chiarore del crepuscolo dell’alba che un po’ alla volta fra poco si prenderà sempre più spazio.
Anche se è a pochi metri più in basso, a causa dello scuro per il momento non riesco ancora a vedere l’acqua del lago. Ne percepisco solamente il rumore dello sciabordio di piccole onde sui sassi, generato da una brezza tesa.
Mentre inizio a prepararmi per l’immersione compiendo l’oramai automatizzata serie di gesti in sequenza di preparazione dell’attrezzatura, vestizione del soffice sottomuta e della muta stagna, la luce del mattino si fa sempre più strada colorando il nero con vari toni d’azzurro. Quando finisco di fare la mie cose è giorno fatto.
Gravato con “bibo”, zavorra, pinne in una mano e custodia per videoripresa nell’altra, con attenzione e passi d’equilibrio scendo uno scomodo viottolo, oggi anche un po’ scivoloso e bagnato, fino a giungere con i piedi nell’acqua. Cammino e vi entro fermandomi solo quando, con sollievo, la spinta idrostatica mi scarica del peso dell’attrezzatura. Che belli che sono questi primi attimi a gravità zero!
Calzo le pinne e senza fretta ma con colpi delle gambe costanti, sul dorso, mi sposto in superficie.
In circa dieci, dodici minuti arrivo in quello che normalmente è il punto d’inizio di un’immersione che scende in una zona sommersa con pendenze molto sostenute.
Oggi però non mi tufferò qui.
Oggi mi sposterò perché voglio andare a dare soddisfazione alla mia perenne curiosità e voglia d’esplorazione.
Oggi butterò lo sguardo un po’ più in là.
Ed allora sempre senza forzare l’andatura, con gambate continue vado ancora lungo la sponda.
Un pescatore con la canna, seduto su un sasso, salutandomi con un cenno della mano mi dice che gli faccio scappare i pesci.
Mentre ricambio il saluto gli rispondo che invece glie li avvicino.
“Magari, almeno acchiappo qualcosa!” ribatte ridendo.
Percorro un ulteriore tratto prima di decidermi per quello che sarà il punto d’inizio, quindi accosto per riposare qualche minuto.
La brezza tesa non ha mollato e nuotare con l’attrezzatura addosso contro le piccole onde fastidiosamente contrarie alla mia direzione, è stato un bel lavoro.
Approfitto di questa pausa per compiere le ultime regolazioni e controlli sul “gruppo” e su di me.
Accendo la torcia sul casco e l’illuminatore. Scarico un po’ d’aria dal g.a.v. e dalla muta stagna ed affondo.
Quando m’immergo per la prima volta in zone a me sconosciute, ed in particolar maniera quando lo faccio in solitaria, sono molto circospetto nell’atteggiamento. Tra l’altro oggi, a causa della visibilità davvero scarsa perlomeno in questi primi metri che incontro, comunque i miei movimenti lo devono essere per forza.
Intravedo, anzi sfioro con il corpo una serie di massi accatastati. Sono l’unico orizzonte possibile ai miei occhi.
Rocce, scogli di mare e di lago sono solamente delle irregolari forme geometriche di grandezze varie che, sebbene diverse le une con le altre, vengono assimilate nella forma da noi sub in un qualcosa d’indefinito e di contorno. Oggi però l’acqua torbida e scura e la novità del sito me li fanno guardare con filtro mentale diverso: direi con rispetto ed un po‘ di gratitudine.
Scendo piano sfiorando con il fianco sinistro le mie "guide indicatrici": le “Signore” rocce drappeggiate di alghe verdastre.
A dieci metri il torbido persiste. La potente luce dell’illuminatore per foto-videoripresa, riflessa dalla spessa sospensione, a momenti è anche fastidiosa. La scosto allora leggermente di lato mitigandone almeno un po' il riverbero.
Ad una quindicina di metri sono ancora dentro corpose nuvole di minutissime particelle.
Non dico che questa situazione mi piaccia o che sia gradevole, questo no, ma i miei ragionamenti interiori, la pratica costante in queste condizioni e la curiosità, fanno si che io riesca a conviverci in maniera decente, a patto però di non abbassare mai la guardia della concentrazione.
Gli occhi divenuti ipersensibili, sfumatamente cominciano a percepire un lieve miglioramento della situazione ed a venti metri gli orizzonti s’allargano almeno di un paio di braccia.
Via via che vado giù il limo diventa meno fitto tanto che posso nuotare senza perdere l'orientamento anche distaccato dal fondale.
Là fuori è buio e freddo: 8°.
Posso finalmente ammirare spazi sommersi sui quali mai avevo posato occhi prima.
Per me questo è veramente gratificante, è l’essenza.
Sebbene protetto da muta e guanti stagni, percepisco nettamente un deciso balzo di temperatura verso il basso sulla mano sinistra e sul polso. Già nella scorsa immersione m'era successo. Probabilmente ho un'infiltrazione d'acqua sulla giuntura polsino-guanto, o un taglietto su qust'ultimo, che nel momento in cui aumenta la pressione durante la discesa fa zampillare acqua all'interno. Nulla però da condizionare il programma d'immersione.
Continuo ad andar giù.
Una netto segmento chiaro si staglia sopra una roccia. Quando mi avvicino intuisco che si tratta del corpo di un luccio morto divenuto tutto bianco ed oramai in avanzato stato di decomposizione.
Il fatto di osservare queste nuove prospettive mi entusiasma non poco e non perché abbia scoperto chissà che, si tratta solamente di un fondale di ripida inclinazione composto in alternanza da rocce e scura rena vulcanica ricoperto di un bianchissimo velo.
Dai cinquanta metri in poi l’acqua è di una trasparenza impressionante: un vero cristallo!
Bellissimo!
Mi affaccio appena fuori del limite di un gruppo di scogli che formano una balconata e, tanta è la pendenza, che pare che sotto ci sia un salto nel nulla.
Ci vado sopra e ci indirizzo il fascio luminoso.
Si dissolve nel vuoto assoluto.
Allora mi decido per scendere ancora, piano, fino a quando s’inizia a materializzare alla vista il pavimento sotto le pinne.
Qualche momento dopo ci sono proprio sopra.
Davanti ed ai miei lati, rocce verticali ed in basso un ulteriore ripido scivolo del quale non riesco a vederne la fine.
Lo seguo per un po’ superando la sessantina di metri, ma il buio pesto di questo cristallo nero mi impedisce davvero di capire dove vada a parare.
L’attenzione e la concentrazione per quello che osservo sono dilatate a dismisura.
Nonostante quaggiù non ci siano colori, sfumature tenui o una vita acquatica che movimenta il palcoscenico, questa vista scurissima e fredda ha un fascino ed un’unica bellezza che vivo appieno.
Ed è in questi attimi che i normali dubbi che erano sgorgati alla mente prima d’iniziare un’immersione come questa, vengono completamente dimenticati.
Ero venuto per andare a vedere cosa c'era un po’ più in là, ho raggiunto lo scopo.
In un successivo tuffo in solitaria effettuato il 28 dicembre '13, ho ulteriormente spostato il punto d'inizio d'immersione nuotando più lungamente in superficie.
La nuova zona esplorata, che è situata immediatamente dopo il ripidissimo fondale subacqueo già conosciuto composto da grandi scogli che si perdono a vista d'occhio, prevalentemente è formata da un monotono scivolo di rena vulcanica di moderata inclinazione che lungamente ho seguito fino a circa 64 metri di profondità.
Video dell'immersione dell' 8 dicembre
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lunedì 11 novembre 2013
--immersioni: "BIANCOMANTO"
La combinazione di fattori chimici, fisici e biologici presenti nell'acqua di questo lago d'origine vulganica, ha fatto depositare sul suo fondo un ovattato strato bianco che somiglia ad una strana e surreale nevicata sommersa.
Incanalati all'interno di un inciso scivolo ubicato in ben precisa posizione, siamo andati nella zona che offre le maggiori pendenze in assoluto.
Come accade sempre, però, di questa accentuatissima inclinazione non ci si rende conto mentre si va giù.
E' solo quando s'inizia la risalita che con un colpo d'occhio verso l'alto si ha la piena percezione della ripida erta sovrastante.
Nel buio perenne delle quote fonde, oggi a 67 metri, la luce emanata dai nostri illuminatori accendeva il fondo bianco esaltandolo ancor di più con un bel alone chiarissimo e sfumato.
Un guanto stagno del mio compagno d'immersione aveva una perdita, così l'amico si ritrovava per lungo tempo con la mano in ammollo a 10°. Per tale motivo, la sua mano intirizzita, abbiamo iniziato la risalita.
Anche nella zona d'acqua più bassa, ci siamo divertiti trovando l'ennesimo relitto: una "Vespa", sicuramente rubata e gettata tra i flutti perchè mancante totalmente di motore.
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sabato 9 novembre 2013
--immersioni: "SECCA PARADISO"
Al largo del versante meridionale dell'Isola di san Domino alle Tremiti, c'è un'elevazione sommersa che ha la sua sommità a circa 37 metri di profondità.
Fino a qualche anno fa nessuno ci si era mai immerso, se ne avevano notizie solo dai pescatori che trovavano nelle maglie delle loro reti salpate remi di gorgonie.
In questa impegnativa e bellissima immersione, scendendo lungo i fianchi di questa secca affondiamo fino a circa 64 metri attraversando una fittissima e coloratissima foresta composta da paramuricee dalla doppia livrea rossa e gialla, arancioni eunicelle, spugne ed alcuni grandi rami di gerardia savaglia (falso corallo).
Un'abbondande decompressione nel blu lungo la sagola del pedagno, è stato il "dazio" da pagare in cambio dello splendido panorama sommerso che abbiamo avuto la fortuna di poter osservare in questo sito davvero poco frequentato, che merita a pieno il nome.
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Secca Paradiso
lunedì 28 ottobre 2013
^^montagna: "VIA CHIARAVIGLIO-BERTHELET"
Storico percorso alpinistico "aperto" il 9 settembre del 1918 da Curio Chiaraviglio ed Ettore Berthelet, che consente di girovagare per l'articolata cresta sud del Corno Piccolo al Gran Sasso d'Italia.
In ogni tratto che si attraversa si percorrono caratteristici angoli in un costante saliscendi su un calcare compatissimo.
Buttando lo sguardo un momento sul versante orientale del Corno Piccolo, Vallone delle Cornacchie, ed un attimo dopo su quello occidentale, in continuo si scalano divertenti paretine, crestine, belle placche esposte ma mai difficili, infilandosi anche in caratteristici tunnel formati da giganteschi massi accatastati.
Alte torri, guglie, pinnacoli, la punta di una piramide quasi perfetta (Torrione Aquila), sono il panorama caotico e bello che ci circonda.
Il caldo anche in quota di questa domenica fine ottobre, è stata la ciliegina sulla torta per una perfetta giornata di montagna.
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Via Chiaraviglio-Berthelet
mercoledì 23 ottobre 2013
--immersioni: "OLTRE GLI ARCHI"
Alle Tremiti, l'immersione agli "Archi" di Punta Secca di Capraia è considerata una "chicca" irrinunciabile per gli appassionati di quest'attività.
Nello specifico, il classico tuffo in questo bel sito viene effettuato fondamentalmente attraversando i due archi per poi risalire fin sul cappello della secca.
Questa volta l'abbiamo fatto in modo diverso: siamo affondati direttamente sulla volta più grande.
Poi, attraversatala, invece d'andar su ciamo indirizzati verso il fondo scendendo fino a 67 metri, e con la parete a sinistra abbiamo compiuto successivamente il periplo completo di questo promontorio subacqueo che nella forma ricorda in linea di massima la parte prodiera della carena di una smisurata nave rovesciata.
Notevolissimo è l'intrico di paramuricee clavate bicolori giallo e rosse nel quale si passa.
Abbiamo incontrato una corrente a tratti di media intensità, peraltro frequente nella zona, che ci ha reso più attenti in questo tuffo già di per se impegnativo.
La corposa sospensione presente nell'acqua, creava un naturale filtro alla luce del sole rendendo l'atmosfera alle quote fonde particolarmente crepuscolare.
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Secca di Punta Secca
martedì 22 ottobre 2013
^^montagna: "SULLE TRE VETTE DEL CORNO GRANDE"
Partendo dall'albergo di Campo Imperatore(2130 mt), versante aquilano del massiccio del Gran Sasso d'Italia, passiamo per il Passo del Cannone(2679 mt) e quindi svalichiamo la Sella dei Due Corni(2547 mt), per essere in due ore al Rifugio Franchetti(2433 mt), versante teramano, da dove iniziamo questa "Gran-Tour" escursionistica-alpinistica sulle così dette "tre vette del Corno Grande".
Grazie a lunghi tratti di corde fisse della via ferrata "Ricci", con affacci unici sul "paretone", andiamo sulla prima, la Vetta Orientale, con i suoi 2903 metri di quota.
Con percorso un po' esposto ed a tratti su pietrisco sdrucciolevole, con attenzione scendiamo fino alla Forchetta Sivitilli per scalare un diedro e poi più facilmente per cresta a guadagnare la seconda cima, la Vetta Centrale (2893 mt).
Una breve discesa in disarrampicata, passi di I° e II°, ci fa passare sotto un piccolo tunnel formato da massi incastrati ed arrivare quindi alla Forchetta Gualerzi(2840 mt), dalla quale con una corda doppia ci caliamo sulla grande e caratteristica balconata inclinata sotto il Torrione Mario Cambi, per intercettare e percorrere la "Via della Coppitana" fino alla Forchetta del Calderone(2790 mt), con sempre davanti agli occhi un vasto panorama d'alta montagna.
Inziamo quindi l'ultimo tratto.
Ci andiamo ad infilare in una caratteristica e profonda spaccatura formatasi tra due guglie rocciose da superare in opposizione di schiena e gambe oppure, più semplicemente se si ha la fortuna di trovarla ancora intasata di neve tardiva a sciogliersi e non è il caso di quest'anno, attraversando quasi al passo questo strano corridoio.
Appena usciti dal singolare posto, molto delicatamente scendiamo attraversando un aereo passaggio in fil di cresta, e quindi in ascesa verso destra poco dopo ci troviamo su un bellissimo balcone di roccia con stupenda vista sul Ghiacciaio del Calderone, che quest'anno per quanto riguarda l'accumulo nevoso, è davvero ridotto ai minimi termini.
Continuando, traversiamo per poco ancora a destra e saliamo un evidente diedro, il primo che s'incontra, interrotto a metà da una comoda selletta.
Al termine di questo scendiamo per un paio di metri sempre a destra e quindi nuovamente su, arrampicando una rampa incassata.
Giunti al culmine, per rocce rotte giù con attenzione quattro o cinque metri a raggiungere l'ennesima forchetta dalla quale, volgendo lo sguardo ora a sinistra ed ora a dritta, alternativamente si possonono osservare il versante del Corno Grande affacciato alla Valle dell'Inferno e quello verso il ghiacciaio.
Subito dopo la forchetta, a sinistra di un breve camino scuro scaliamo facili roccette e poi nuovamente in cresta a destra dove, da una tavola di roccia piatta, superiamo un altro aereo tratto compiendo un delicato passo assicurato da un chiodo.
Ancora per qualche metro, con cautela su roccia marcia, scendiamo sul lato sinistro della cresta per portarci sull'ultimo intaglio da superare e dal quale, dopo aver scalato una breve paretina ripida ma ricca d'appigli, siamo fuori dal terreno alpinistico e quindi, dopo cinque ore e mezza dall'attacco della "Ricci", in vetta sulla Occidentale del Corno Grande a 2912 metri, la terza, ultima e più elevata.
Il tempo di riordinare il materiale scalatorio e sorseggiare dalla borraccia un ritemprante the bollente, e per la panoramicissima Via delle Creste quindi giù a Campo Imperatore, dove rientriamo dieci ore e mezza dopo averlo lasciato in mattinata, a concludere questo lungo giro che ci ha offerto unici e vasti panorami delle più elevate cime del Gran Sasso in questa fredda giornata di fine ottobre.
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traversata delle tre vette
domenica 13 ottobre 2013
--immersioni: "MEZZO VUOTO E MEZZO PIENO"
Due laghi vicini tra loro non più di una manciata di chilometri.
Uno artificiale creato da una diga per la produzione di energia elettrica che a causa di manovre idrauliche è quasi vuoto.
L'altro, naturale, invece con un buon livello dell'acqua.
lunedì 7 ottobre 2013
--immersioni: "LIVELLO BASSO"
A causa delle manovre idrauliche sulla diga posta poco più a valle, oggi il livello dell'acqua era alquanto basso.
In immersione, appunto, in un certo momento proprio nel punto più stretto del lago se rimanevo completamente immobile con le pinne, un'appena percettibile bava di corrente che assolutamente non creava problema, mollemente mi spingeva.
Alla riemersione incontro Maurizio e Remo che stavano andando in montagna.
domenica 6 ottobre 2013
--immersioni: "LA PUNTA"
Quando Raimondo Bucher, uno dei pionieri dell'esplorazione subacquea in Italia, s'immerse qui per la prima volta era convinto di aver trovato sprofondate sotto il mare le misteriose strutture murarie di un'antica civiltà.
La regolarità delle forme solide di roccia basaltica ed il loro posizionamento è talmente geometrico che viene facile ingannarsi e pensare, quando le si osserva per la prima volta, ad un manufatto frutto dell'opera dell'uomo.
Invece è un particolare tipo di roccia vulcanica che fuoriuscendo si forma e si plasma così, in maniera del tutto casuale e naturale.
Alla "Punta di Linosa" abbiamo effettuato un paio di tuffi.
Visto che in questa zona dell'isola ci sono le maggiori pendenze sommerse, nella prima "calata" siamo scesi fino ad 72 metri di profondità trovando un'acqua limpidissima ed attraversando a circa 30-35 metri una zona popolata da tantissime "tanute". Nella risalita lungamente abbiamo osservato un brulicante tappeto vivente composto da migliaia e migliaia parapandalus narval, una specie di gamberetto, che ricopriva fittamente il fondale roccioso.
Mentre nella seconda discesa ci siamo abbandonati totalmente con gli occhi e la fantasia alla visione delle strane formazioni di roccia basaltica.
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La Punta
sabato 5 ottobre 2013
--immersioni: "GLI ARCHI NATURALI"
Nell'acqua limpida, dopo aver effettuato una discesa su una bella franata sommersa fino a 70 metri di profondità, in risalita abbiamo girovagato tra quelli che i locali chiamano "GLI ARCHI NATURALI DI LINOSA".
Una serie di grandi strutture passanti scavate in epoche remote nella roccia lavica, materia incontrastata dell'Isola.
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mercoledì 2 ottobre 2013
--immersioni: "PUNTA CALCARELLA"
Una zona ricca di crepe, grotticelle e spaccature che si sono formate nella roccia vulcanica, offrono spunti sia al sub che semplicemente vuole curiosare, oppure anche a quello armato di foto-video camera.
Non è raro trovare al loro interno delle corpulente cernie.
Tra la posidonia s'incontra anche un massiccio "ceppo d'ancora" d'epoca romana.
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Punta Calcarella
lunedì 30 settembre 2013
--immersioni: "LA SICCHITELLA"
Una classica e bella immersione dell'isola di Linosa è quella alla Sicchitella.
Prospicente la punta Calcarella, questa lunga dorsale sommersa è caratterizzata sul suo versante orientale da una più verticale ed articolata parete che scende fino ad una sessantina di metri. Ad ovest, invece, un piano inclinato degrada più dolcemente.
Una netta e caratteristica frattura larga diversi metri nella quale si transita è detta "il kanion", ed interrompe per un tratto la linea della Sicchitella.
E' routine incontrare cernie di bella taglia, dentici e branchi di barracuda e non solo. Cocci, purtroppo spaccati, d'antiche anfore ed un ceppo di piombo di una nave d'epoca romana, testimoniano l'importanza strategica per quei tempi di quest'isola geograficamente posta a metà strada tra la Sicilia e l'Africa del nord.
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Sicchitella
domenica 29 settembre 2013
--mare: "LINOSA, L'ISOLA INCANTATA"
Proprio a meta' tra l'Italia e la Tunisia, situata nello stretto di Sicilia e facente parte dell'arcipelago delle Pelagie, Linosa e' una piccola isola di forma a di quadrilatero e con un perimetro totale di poco meno di 12 chilometri.
Di origine vulcanica (si formo' nello stesso periodo geologico della nascita dell'isola di Pantelleria), e' caratterizzata da un variegato panorama di rocce laviche nere e rosse decorata da una fitta e rigogliosa macchia mediterranea che con i suoi toni di verde bene si combina al resto dell'aspro paesaggio.
Rispetto alla sua ben nota sorella maggiore Lampedusa, dotata anche di aereoporto, ha contatti sia con l'Isola madre, la Sicilia, che con la terraferma decisamente più limitati.
Questo è proprio il fattore che determina il carattere di Linosa.
A causa di questi collegamenti più saltuari, a Linosa c'è un turismo discreto e non consumistico.
Forse i locali gradirebbero per le loro economie presenze più numerose che, però, sicuramente porterebbero più confusione andando ad intaccare quell'atmosfera di isola incantata che s'inizia a respirare non appena ci si sbarca su.
I mezzi di trasporto a motore sono solamente quelli dei locali. Per il resto la si può girovagare o a piedi oppure in bicicletta su strade e sentieri dove incontrare, non dico altra automobile, ma persone, in alcuni giorni è cosa assai rara!
Insomma chi gradisce tranquillità e silenzio rotto solamente dal frusio del vento e dalla risacca del mare, qui ha quello che cerca.
Chi ama andare ad osservare, contemplare e meditare, trova in questa lontana oasi un terreno gradito.
Dai suoi rilievi elevati al massimo circa 190 metri, la vista può spaziare a 360 gradi tutt'intorno, con l'azzurro del mare che la fa da padrone in assoluto.
Le lave che la formarono salendo dalle profondità della terra, ora disegnano sulla linea di confine tra acqua ed aria un ricco paesaggio a volte dall'aspetto lunare, composto da ripidi fiordi, cale, anse, riparate baiette, che possono essere raggiunte sia più comodamente via mare con la barca, che con un po' più d'attenzione via terra per gli amanti dell'esplorazione.
I panorami sommersi, rispetto ad altre località di viaggi d'immersione sono meno colorati e ricalcano le morfologie di quelli all'aria, offrendo agli occhi insoliti giochi di luci ed effetti generati da rocce di fusione naturale che ad un primo sguardo possono sembrare addirittura dei manufatti dell'uomo. Raimondo Bucher, un pioniere dell'esplorazione dei fondali con autorespiratore, infatti la prima volta che capitò da queste parti fu ingannato in tal maniera, per essere poi corretto successivamente da geologi.
Sott'acqua incontrare numerosi branchi di barracuda di tutte le taglie, dentici, tanute, branchi di pelagici e le immancabili cernie anche di misura extra-large è cosa comune.
Mentre attorno all'isola è facile imbattersi in esemplari di tartarughe di mare "caretta-caretta", che spesso ingurgitano ami, fili, lenze o quant'altro e che sono portate a terra a Linosa in un apposito centro di recupero per tararughe ferite.
Se nei miei sogni ed immaginazioni di cose di mare mi figuravo un'isola, sono sincero nel dire che ne avevo una in mente che parecchio somigliava a questa.
Linosa è l'isola che lascia il segno.
Rientrati dal nostro viaggio il 27 di settembre '13, dopo qualche giorno, il 3 ottobre, nelle acque di Lampedusa un barcone carico di disperati migranti prevalentemente somali ed eritrei proveniente dalle coste dell'Africa del nord, prima prendeva fuoco e poi s'inabissava.
Una tragedia che lascia tutti senza parole, pare che i morti annegati siano più di 300.
Persone partite dai loro paesi d'origine, spesso in eterna guerra civile interna, per sfuggire ad una vita durissima, di stenti e di disperazione.
Persone partite nella speranza di provare a trovare un futuro migliore per loro ed i propri figli e che, invece, capitati nelle mani di squallidi esseri senza dignità e mercanti di vite umane, finiscono questo loro "viaggio" nel peggiore dei modi.
Allora mi ritornano in mente le storie di mio nonno raccontatemi da mio padre.
"Il nonno a 16 anni partì per l'America per trovare non la fortuna, ma più semplicemente un lavoro, un qualsiasi lavoro.
S'imbarcò sul piroscafo (così chiamavano le navi) ed andò incontro ad un futuro incerto.
Arrivò nel paese dei sogni, però per lui non fu un sogno.
Dopo tre anni di lavori umili di tutti i tipi, si ritrovò tale e quale a come era partito dall'Italia e con ancora tanta fame.
Tornò nella Madre Patria che lo chiamò per servirla in guerra (non so per quanti anni)."
Io sono nipote di un migrante.
Giacinto Marchionni
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martedì 17 settembre 2013
^^montagna: "Via VALERIA"
In questa giornata di metà settembre dove comunque lo zero termico era a 3200 metri di quota, al Campanile Livia (2580 mt.) del Corno Piccolo abbiamo scalato la via alpinistica VALERIA: rapida, divertente ed assolata.
A metà della sua traccia è caratterizzata da una singolare e saettante fessura a "Z" nella quale bisogna arrampicare.
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mercoledì 11 settembre 2013
^^montagna: "RIFUGIO DEL MONTE"
Partiti da Prato Selva, abbiamo fatto questa divertente escursione al bel rifugio Del Monte, posizionato in un angolo incantato alla base del Monte Corvo.
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rifugio Del Monte
domenica 8 settembre 2013
--immersioni: "TEVFIK CAPTAN 1"
Il 28 giugno 2007 il cargo turco "Tevfik Captan 1" in navigazione dal porto abruzzese di Ortona (CH) e diretto in Algeria con un carico di 1000 tonnellate di filo di ferro in matasse, a causa dell'improvviso spostamento di questo subì un pericoloso sbandamento su di un fianco.
Con il mare formato e la nave fortemente inclinata, l'equipaggio comunque tentò il tutto per tutto per provare a risistemare il materiale e quindi riequilibrare l'assetto dello scafo.
Le grandi onde che costantemente continuavano ad investirlo, riversarono però grandi quantità d'acqua nelle stive decretandone alla lunga l'oramai inevitabilmente affondamento nelle acque prospicenti la localita di Torre Vado, in provincia di Lecce, nello Ionio Salentino.
Ora il relitto giace appoggiato su di un fondale di una ventina di metri in perfetto "asseto di navigazione".
Vista la non eccessiva profondità è possibile visitarlo, osservando interessanti scorci, in tutta la sua lunghezza da prua a poppa in una sola immersione.
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sabato 31 agosto 2013
^^montagna: "UNA FESSURA NEL TIRO FINALE CHE VALE TUTTA LA VIA"
Sulla parete est del Corno Piccolo al Gran Sasso d'Italia, proprio nell'ultimo tiro della "via NAUDANDA", una spettacolare fessura incide, la Torre Cichetti da parte a parte.
Vuoi per la spaccatura e vuoi per la stupenda roccia ruvida al punto giusto da consentire un'aderenza strepitosa alle scarpette d'arrampicata, che la scalata di quest'ultimo tratto di parete diventa esaltante.
L'avevamo salita ad ottobre del 2011 e tanto ci era piaciuta che ci eravamo ripromessi di ripercorrerla appena se ne fosse presentata l'occasione.
domenica 25 agosto 2013
^^montagna: "Via GIGINO BARBIZZI"
Per sabato 24 agosto i metereologi erano concordi nel prevedere sul Gran Sasso d'Italia possibili piogge nel corso delle prime ore del pomeriggio.
Per questo motivo abbiamo scelto di effettuare una scalata su una via con un avvicinamento abbastanza rapido dalla "Madonnina" (stazione di monte della funivia dei Prati di Tivo) in maniera d'avere poi, una volta usciti dalla traccia alpinistica, un buon margine di tempo prima dell'arrivo di eventuali perturbazioni.
Il fresco della parete nord del Corno Piccolo è rinomato d'estate, e questo lo sapevamo, ma trovare nel primo tiro una roccia tanto gelata da intorpidire totalmente la sensibilità dei polpastrelli delle dita, questo non ce l'aspettavamo.
Nella parte più alta, poi, il sole riusciva a fare capolino almeno per qualche momento stemperando il contatto delle mani sul calcare.
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via GIGINO BARBIZZI
martedì 20 agosto 2013
--mare: "LU TRAVOCCHE"
Un bel tratto della costa Abruzzese tra San Vito Chietino e Fossacesia, è chiamato "Costa dei Trabocchi".
I trabocchi, Travocchi, sono delle tipiche e particolari costruzioni locali in legno a travature molto intrecciate e protese verso il mare, che venivano usate per pescare calando in mare da lunghi pennoni grandi reti a sagoma quadra.
lunedì 19 agosto 2013
^^montagna: "SPIGOLO DI PAOLETTO"
Ombra e vento oggi su questo "Spigolo" situato sulla parete nord del Corno Piccolo al Gran Sasso d'Italia.
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via Spigolo di Paoletto
domenica 18 agosto 2013
-- immersioni: "BRODO CON DADO"
Dai 26° C. di temperatura dell'acqua in superficie e poi a 52 metri (batimetrica raggiunta nell'immersione odierna), con una variazione di ben sedici in meno avvenuta tutto sommato in poche braccia, passare alla fredda doccia dei 10° C.
Sbirciare con gli occhi in un buio e nero panorama composto di rocce vulcaniche scurissime e quindi, con una sfanalata delle torce subacquee sul fondo di sabbia e limo, vederlo rischiararsi di un sottilissimo ed impalpabile strato bianchissimo generato da qualche batterio.
Sorvolare tranquilli e bassi fondali composti di cataste di grandi rocce generanti caotiche strutture, che improvvisamente, di colpo, inauditamente cambiano vertiginosamente pendenza.
Muoversi, o meglio, forzatamente strisciare al rallentatore a causa dell'acqua dalla consistenza lattiginosa e scesi di soli pochi metri fluttuare in un ambiente limpidissimo.
Questo è il lago di Castelgandolfo sotto le onde: un panorama sommerso che offre grandissimi contrasti assaporabili nel corso di una singola immersione da sommozzatori fortemente motivati.
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Lago di Castelgandolfo
martedì 13 agosto 2013
^^montagna: "CRESTA NORD DELL'ANTICIMA DELLA VETTA ORIENT. DEL CORNO GRANDE"
Escluso il tratto di avvicinamento effettuato sulla Cengia dei Fiori, dove non si cammina ma si scala in orizzontale, con i suoi circa 700 metri di sviluppo la salita di questa storica lunga via di cresta è stata proprio viaggio verticale in un ambiente d'alta montagna di severa bellezza.
Un accennato sbuffo di vapore presente sul "Paretone" alle otto di mattina, ben presto si è trasformato in una densa foschia che ci ha fatto compagnia per quasi tutta la salita, e solo a tratti il nuvolone nel quale eravamo immersi si diradava.
La via è gradata di IV° superiore ma noi che l'abbiamo ripetuta possiamo affermare che per un bel tratto del tiro d'attacco il V° superiore c'era tutto. Al di là della valutazione sui passaggi tecnici, la qualità della roccia mai compatta e la lunghezza rendono l'itinerario difficile.
Nella parte alta a causa delle nebbie che andavano e venivano, un errore di itinerario ci ha fatto compiere un eccessivo traverso a destra e quindi finire "fuori via". Avendo io e mio fratello effettuato un'altra ascensione in zona un anno fa sulla via Nebbia del Paretone (azzeccatissimo il nome !), ci siamo resi immediatamente conto che il canalone che ci stavamo accingendo a percorrere non aveva nulla a che vedere con i ricordi, quindi abbiamo preso la decisione di ritornare con la massima attenzione a ritroso, mentre i minuti iniziavano ad andare più velocemente, e la luce del pomeriggio iniziava a calare, tant'è che m'iniziava a balenare nella testa un quanto mai imprevisto bivacco.
Riguadagnavo allora verso sinistra, e con sollevazione dello spirito riconoscevo senza ombra di dubbio quei singoli passaggi superati l'anno passato. Via quindi su alla massima velocità consentita senza perder tempo e meno male senza intoppi della corda. Con cinque sfilate di corda nelle quali le mani metro dopo metro continuavano a toccare rocce amiche perchè conosciute, siamo finalmente usciti dalla via sulla Ferrata Ricci. Poi giù al rifugio Franchetti per una breve pausa mentre iniziava ad imbrunire.
Finita la giornata di montagna, una volta giunti al piazzale Amorocchi dei Prati di Tivo abbiamo avuto un ultimo fuori programma: la mia macchina non ne ha voluto proprio sapere di rimettersi in moto. Questa però è un'altra storia ...
venerdì 9 agosto 2013
^^montagna: "6 AGOSTO 2013 - PIZZO SAN GABRIELE"
La "Spedizione familiare zeta zeta" ha incontrato camosci, aquile e tante stelle alpine nella salita al Pizzo San Gabriele che fa parte del ben più lungo "Sentiero del Centenario".
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Pizzo San Gabriele
martedì 6 agosto 2013
^^montagna: "CRESTA MALLUCCI"
Per il versante sud della vetta centrale del Corno Grande partendo proprio alle spalle del "Bivacco Bafile", si snoda questa via che percorre una lunga cresta molto articolata che nella conformazione ricorda i denti di una gigantesca sega.
Su calcare spesso rotto e marcio e con costantemente davanti agli occhi un ambiente solitario, di rocce rotte e caotiche ma allo stesso tempo di selvaggia bellezza, abbiamo scalato e ridisceso diverse guglie molto eleganti, sottili ed aeree crestine, un bel diedro di una trentina di metri (il tiro chiave V°), fino ad arrivare dopo un panoramico ed esposto tratto in discesa ad un caratteristico intaglio.
Da qui passando alla base di alti spalti di roccia compatta, decisamente abbiamo traversato a sinistra allontanandoci un po' dalla linea di cresta seguita, andando a puntare una ben visibile ed inconfondibile rampa da salire, fare attenzione però di non andare a finire nel profondo canale ancora più a sinistra.
Rimontata questa rampa, sempre in progressione con la corda siamo saliti prima per un lungo canale di sfasciumi non difficile ma delicato e molto instabile, e successivamente per le placche finali siamo arrivati in vetta alla Centrale del Corno Grande, prosciugati dal caldo perchè tutta la scalata è esposta al sole e dopo aver percorso in tutto 500 metri in cordata.
Dalla cima quindi, passando sotto un caratteristico grosso masso incastrato che forma un piccolo tunnel (passi di II° in disarrampicata), siamo andati giù fin poco a valle della Forchetta Gualerzi da dove con una "doppia" da 50 metri ci siamo calati sulla "Coppitana" che transita sulla bellissima grande balconata del versante nord del Torrione Cambi, detto Balcone d'Abruzzo.
In breve ma sempre in grande esposizione con questa torniamo sulla Forchetta del Calderone da dove, riaffacciati nuovamente sul versante meridionale della montagna, siamo andati lungamente giù per sentiero alpinistico (tratti di II° in disarrampicata), fino a ritornare sulla traccia dove si tornava a camminare.
A conclusione di un'intensa giornata di montagna, all'imbrunire abbiamo preferito deviare verso il Bivacco Bafile dove abbiamo trascorso la notte. All'alba del giorno successivo, riposati, siamo rientrati di buon passo al Piazzale di Campo Imperatore.
Le indicazioni relative a sviluppo della Mallucci-Monti e le difficoltà della stessa di alcune guide alpinistiche sono molto pressapochistiche. Nella nostra ascensione abbiamo potuto riscontrare che:
a) lo sviluppo del tratto in cordata è in totale di 500 metri contro i 350 metri grossolanamente indicati.
Viste le lunghezze degli avvicinamenti e dei rientri che inoltre sono anche molto articolati e lavorati, la qualità della roccia che su lunghi tratti seppur con difficoltà non elevate richiede un'andatura circospetta, a chi dovesse dar retta a quegli scritti fortemente inesatti potrebbe avere dei fuori programma sui tempi di percorrenza totali che diverrebbero imprevedibilmente ed inaspettatamente lunghi;
b) il grado di difficoltà, dichiarato di IV° inferiore, contro la realtà del V° trovato nel tratto chiave della scalata, potrebbe essere un ulteriore fattore di rallentamento della cordata.
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sabato 3 agosto 2013
--immersioni: "BRODO MAGRO"
Immergersi in "opulente" acque con gradevoli temperature, ottime visibilità e coloratissime forme di vita animale e vegetale, è innegabilmente sicuramente cosa piacevole.
Farlo, però, in un'acqua scura e limacciosa che in alcuni momenti offre oltre il vetro della maschera al massimo 10 centimetri allo sguardo e con 8°C di temperatura sul fondo, è faccenda da sommozzatori affamati che trovano appetibile così anche un "Brodo Magro".
martedì 30 luglio 2013
^^montagna: "FIAMME DI PIETRA"
Sulla punta delle ...Fiamme, oggi davvero gran caldo!
(Fiamme di Pietra al Corno Piccolo)
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fiamme di pietra
giovedì 18 luglio 2013
^^montagna: "Via SALADINI-ALESI"
Dalla fine della funivia dei Prati di Tivo (TE), per ripidi pratoni si arriva alla base dell'estrema sinistra della bastionata rocciosa della parete nord del Corno Piccolo.
In questa zona in ombra sale la "SALADINI-ALESI", i due Ascolani che nel giugno del '64 la scalarono la prima volta e che, com'era usanza, battezzarono con i loro nomi.
Con una logica alpinistica che va a cercare la traccia sopra i punti di minor resistenza della parete, abbiamo scalato dapprima una placca fessurata poi, con un traverso in ascesa a sinistra, ci siamo portati sotto una linea di placca che successivamente diventa camino, da risalire in verticale.
Ripartiti da un balcone inclinato, spostandoci prima poco a destra e successivamente a sinistra, ancora su a scalare una fessura-camino fino ad uscirne con un movimento lievemente aggettante in fuori a causa di una piccola pancia rocciosa.
Percorrendo poi un lungo canale-diedro, siamo arrivati su di un piccolo pulpito sul filo della cresta e quindi oramai al termine della via.
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via SALADINI-ALESI
domenica 7 luglio 2013
^^montagna: "CIELITO LINDO ?"
Sulla parete nord del Corno Piccolo, scalando "La compagnia bella", il cielito lindo ... dov'era?
Nuvole sempre più spesse e fitte hanno iniziato ad avvolgerci fin quando da una lieve pioggerella si è passati ad un temporale bello e buono arricchito anche da una fitta grandinata.
In queste condizioni la parete in pochi minuti si è trasformata completamente in una lucida cascata d'acqua ruscellante proveniente da tutte le direzioni.
Mancava l'ultimo tiro di corda per "uscire" dalla via, ma viste le condizioni abbiamo deciso di scendere fino alla base con una serie di doppie.
Dai vari bollettini meteo sapevamo dell'arrivo della perturbazione, ma tutti i previsori erano concordi sul fatto che l'acqua sarebbe arrivata nel tardo pomeriggio ... evidentemente Giove-Pluvio insidacabilmente decideva di anticipare i suoi imperscrutabili programmi.
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via LA COMPAGNIA BELLA
lunedì 1 luglio 2013
^^montagna: "SIVITILLI, GIANCOLA, FANTONI-MODENA & comp."
In questo fine giugno 2013 ed ancora con temperature autunnali scaliamo questa via sulla parete nord della prima spalla del Corno Piccolo del Gran Sasso d'Italia.
Nella prima parte la salita si svolge in un canale-camino lievemente inclinato a destra fin quando non si giunge sotto una fascia rocciosa strapiombante che ha il suo "tallone d'Achille" in un bel tratto molto esposto, ma proteggibile, che consente di giugere sull'ampio balcone sovrastante che attraversa tutta la parete.
Camminnando si traversa quindi a sinistra fino a trovarsi alla base di un evidente camino da scalare tutto.
Alla fine di questo l'originale "relazione scritta" dice di continuare in altro camino che piega a sinistra, però il consistente e scivoloso umido presente sulla roccia ci consigliava di scalare per qualche passo la placchetta sovrastante, tecnicamente più difficile (V°+ / VI°-), e poi riportarci sulla "linea".
Laboriosamente usciti dall'imprevista difficoltà andiamo ad arrampicare con due sfilate di corda da 60 metri una lunga, panoramica e mai difficile ma sempre esposta, placconata che porta alla fine della via.
Camminando in questa zona della cresta del Corno Piccolo arriviamo alla prima delle quattro calate di corde doppie che si svolgono sul bel lungo muro di calcare situato poco a destra del Canale Sivitilli.
Una volta alla base della parete, per pratoni giù al sentiero Pier Paolo Ventricini.
lunedì 24 giugno 2013
^^montagna: "EREMO SANTA COLOMBA"
Da Isola del Gran Sasso e Pretara, una salita in un bel bosco fino alla chiesetta di Santa Colomba.
Arrivati qui ... per lei è troppo forte ed irresistibile la tentazione di tirare il canapone che fa suonare la campana situata sul tetto!
DIN - DON!
DIN - DON!
DIN - DON!
lunedì 20 maggio 2013
--immersioni: "I PICCHI DI ELENA"
Sul fondale prospicente la Cala dei Turchi, a nord dell'Isola di Capraia alle Tremiti, si elevano due pinnacoli sommersi vicinissimi tra di loro che i sub conoscono come i "Picchi di Elena".
Con millimetrica precisione la "ciurma" del Tremiti Diving Center ci "pedagnava" il sito facendo atterrare la zavorra piombata esattamente sull'insellatura che divide i due monoliti.
Non dovevamo far altro che scendere seguendo la sagola bianca fin sul pavimento sabbioso.
Una volta arrivati alla sua fine, ad una cinquantina di metri, ci siamo indirizzati verso il mare aperto dove a 60 metri abbiamo trovato un gruppetto di bassi scogli che spuntavano dal sedimento, colonizzati da giallissime spugne.
Nel ritorno, in risalita lungo il filo guida, abbiamo incrociato una colonia di trasparenti "Salpe" (Salpa Maxima) unite tra di loro a formare una catena.
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Picchi di Elena
martedì 16 aprile 2013
^^montagna: "LA METUCCIA (2102 mt)"
Per questa scialpinistica non avevamo una grande meta, ma una ... grande Metuccia, si!
Saliti dalla valle Fiorita, o Pagana che dir si voglia, prima del passo dei Monaci a circa 1800 metri di quota abbiamo deviato a sinistra andando su bei pendii aperti che ci hanno fatto giungere alla nostra "Metuccia".
Nonostante le alte temperature della giornata che si sono verificate anche in quota, l'esposizione a nord della linea che abbiamo scelto di salire ha consentito di farci andare su, ma soprattutto scivolare poi giù su una bella neve abbondante e trasformata che riempie ancora quest'angolo di montagne.
mercoledì 10 aprile 2013
--immersioni: "LA SECCA DEL PIGNO"
In questa immersione dal profilo "quadro", per raggiungere il cappello della secca siamo scesi nel blu fino a 34 metri, dopodichè ci siamo lasciati scivolare lungo i suoi fianchi dove abbiamo ammirato la colonia di rosse paramuricce ed alcuni belle ramificazioni della gialla gerardia savaglia.
L'esplorazione è proseguita fino a 56 metri di profondità, per poi iniziare l'ascesa e riguadagnare la sua sommità.
Quindi sulla bianca sagola del pedagno abbiamo effettuato la lenta risalita e smaltita la dovuta decompressione.
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Secca del Pigno
domenica 31 marzo 2013
--immersioni: "PASQUA 2013"
E' ripristinato il collegamento viario nella Valle del Sagittario che era stato interrotto a causa di una frana che aveva fatto crollare un tratto di strada subito dopo la prima galleria scavata nella roccia nella tratta tra Anversa e Scanno.
Automaticamente, quindi, vengono ripristinate anche le immersioni nella zona.
martedì 19 marzo 2013
^^montagna: "TOPPE VURGO DALLA VALLE GENTILE"
Abbiamo trovato una pesantissima neve, ma come sempre nonostante la fatica ne è valsa la pena.
Attraverso bellissime vallette incassate che si susseguono tra boschi e strette gole rocciose, via via si sale ed i panorami, non solo quelli per gli occhi, ma anche quelli per lo spirito divengono sempre più ampi.
lunedì 18 marzo 2013
--immersioni: "LA FREDDA NOTTE"
Ritorno all'Acquacetosa del lago di Castelgandolfo che fino a circa 25 metri di profondità mi accoglie con acqua un po' fosca.
Più giù, invece, gli orizzonti di visibilità si allargano mantenendo comunque una sospensione di corpuscoli più grossolani che in certi momenti mi facevano sembrare di essere in mezzo ad ad una strana nevicata.
Al contempo sono sempre affascinanti e severi i panorami sommersi di questo sito d'immersione che, a prescindere dall'ora del giorno, oltre certe profondità sono sempre avvolti dal buio.
In risalita incrocio ancora nuove carcasse di telai d'automobili buttate quaggiù.
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Lago di Castelgandolfo
domenica 10 marzo 2013
venerdì 8 marzo 2013
--immersioni: "FREDDE E BUIE, MA SEMPRE DOLCI ACQUE!"
Immergersi con autorespiratore è un’esperienza unica ed irripetibile. La prima sensazione nuova che tutti i sub hanno provato è stata quella del riuscire a respirare nell’irrespirabile acqua.
La seconda cosa che si sperimenta è quella del potersi muovere liberamente nelle tre dimensioni del fluido; una cosa del tutto straordinaria per noi “terrazzani”che sin dal primo giorno nel quale veniamo alla luce ingaggiamo un perenne duello con la forza di gravità, la quale ci nega inesorabilmente la terza dimensione dello spazio.
Già queste due novità da sole basterebbero per motivare e far continuare lo straordinario viaggio dentro l’acqua, ma non mancano settori di approfondimento e di maggior interesse in diverse aree come la fotografia e la videoripresa subacquea, l’immersione su relitti, le immersioni profonde, la biologia, l’archeosub, le grotte sommerse, e le acque dolci.
Insomma, i campi di “gioco” che ci offre il mondo del silenzio sono davvero grandi e svariati con ancora ampie zone inesplorate.
Bisogna però tenere sempre presente chiaramente a mente le regole sulla fisiologia dell’immersione. Sia l’esperto sub di vecchia data che il novello sommozzatore troveranno una personalissima nicchia nella quale far galoppare a briglia sciolta la loro fantasia ed inventarsi nuovi gratificanti campi d’elezione.
E’ proprio questo, secondo me, il bello di questo gioco!
Qui vige la libertà assoluta dove non si possono mettere recinti alla creatività e, soprattutto, non si possono ingabbiare dentro schemi prefissati i progetti che ogni singolo sub è in grado di fare.
Rientrando da immersioni lacustri, frequentemente mi sento rivolgere da persone non pratiche della nostra disciplina la domanda di cosa io trovi di bello in quei posti dove abitualmente ci sono condizioni di scarsa visibilità, acqua fredda e toni decisamente meno brillanti rispetto alle multicolori scogliere marine. E’ una bella domanda alla quale è già difficile rispondere a chi pratica immersioni, naturalmente non “dolci“, figurarsi farlo con qualcuno che è proprio all’asciutto di cose da sub.
Probabilmente la motivazione iniziale che spinge un subacqueo ad immergersi nelle acque non salate è quella di trovare un’alternativa o un ripiego ad un mare con bei fondali un po' troppo lontano o poco praticabile: una necessaria valvola di sfogo all’irrefrenabile voglia di stare dentro l’acqua che tutti noi sub abbiamo.
Per quello che mi riguarda non considero il lago un ripiego o una seconda scelta rispetto al mare, assolutamente. Lo considero un ambiente con sue caratteristiche e peculiarità, con suoi colori, con sue sfumature, con proprie regole, così come il mare ne ha di diverse e più note ai sub e non.
Ricordo perfettamente come da ragazzino, ogni volta che durante una gita si visitava un bacino lacustre, si affacciava nella mia mente quell’indelebile domanda: cosa può esserci sotto quello specchio d’acqua? Ecco... è proprio questa la mia motivazione primaria, la curiosità. La stessa identica ed immutata curiosità di allora, la curiosità di scoprire cosa c’è in un luogo che non conosco. Sia esso all’aria o sott’acqua, ed in quest’ultima situazione non vi è differenza se si tratta di acqua salata o dolce.
Per le già citate condizioni di visibilità ridotta e per la temperatura più bassa del liquido, nell’immersione in un bacino d’acqua dolce si incontrano oggettivamente condizioni più severe ed impegnative rispetto a quelle che mediamente si trovano nelle immersioni in mare. La protezione dal freddo ha la priorità assoluta, così come l’abitudine all’utilizzo della bussola sott‘acqua. Abilità che può essere fondamentale per trarsi d’impaccio in quelle situazioni molto facili a trovarsi di acque che offrono di colpo un limitato campo visivo, similmente a come accade trovandosi in piena nebbia dentro un bosco quasi del tutto sconosciuto.
Riuscire a conoscere grazie alla bussola quale direzione si sta prendendo e controllare la quota alla quale ci si trova, sono pratiche fondamentali quando ci si ritrova nella fitta bruma del sedimento subacqueo che quasi annulla gli spazi visivi. Inoltre queste pratiche aiutano a scacciare i fantasmi che la mente può crearsi da sola in questi parametri particolari.
Per muoversi in acqua in queste condizioni occorre oltre che un buon addestramento anche molta pratica da sviluppare seguendo la politica propedeutica dei piccoli anzi, meglio ancora, piccolissimi passi. Con il tempo e con l’assiduo esercizio la gestione dell’orientamento in acqua con scarsa visibilità diventerà non dico una passeggiata, questo mai, ma sicuramente più abbordabile. La ripetizione dei gesti porterà ad un condizionamento tale che la poca o la scarsa visibilità saranno vissute dal sub prevalentemente come un fattore oggettivo dell’immersione verso il quale prendere le opportune contromisure, e non più come un elemento fortemente stressante.
Mi sento di poter affermare tranquillamente che la piena presa di coscienza della tecnica della navigazione con la bussola in acque molto torbide assicura al sommozzatore una padronanza della situazione che lo allontana di parecchio dalla sensazione interiore, spesso non oggettiva e non reale, di tangibilissima tensione.
Il superamento di questa fase che si accompagna alla falsa sensazione di aver acquisito preziosissime e “soprannaturali” abilità subacquee, porta ad un umanissimo sentimento di egocentrico narcisismo che si spera “vivamente,” duri solamente il tempo necessario per rendersi conto che non si è stati presi a benvolere da un qualche portaborse di Nettuno, Poseidone o altri dei delle acque profonde, ma che si è diventati più semplicemente un po’ meno goffi, e non più bravi, come penetratori di fondali lacustri.
La memorizzazione della zona d‘immersione, previa visione e studio a secco della carta del lago con le quote batimetriche, aiuterà ulteriormente il sub che così avrà acquisito un ulteriore tassello degli scenari che incontrerà per la riuscita della sua immersione programmata. Ora, con questo bagaglio d’esperienza e con un’adeguata protezione contro il freddo, un sub appassionato ed assiduo praticante può spingersi dentro le acque dolci e spessissimo buie di un qualsiasi lago. Il campo di “gioco” non attende altro che di essere esplorato con quel pizzico di perenne curiosità che “dovrebbe” invogliare ognuno a nuove piccole o grandi scoperte.
Per quello che mi riguarda quando parlo di scoperte subacquee non intendo solamente ritrovamenti di relitti o di chissà quali tesori sommersi, magari! In una vita d’immersioni il più fortunato dei fortunati quando ne trova uno solamente può davvero dire di aver toccato il cielo con un dito. Intendo più semplicemente la scoperta, per esempio, di una nuova zona di fondale che non si era mai vista prima. Posare gli occhi per la prima volta su posti nuovi di certo solletica e gratifica la mia curiosità oltre misura. Questo è l’innesco che naturalmente è perennemente acceso per il mio carburante.
Lievitare sospesi a qualche spanna dal fondale che con forte inclinazione scivola via sotto di me perdendosi invisibilmente non si sa dove: sia nel mare azzurro o in un lago nero l’emozione è sempre la stessa, come l’attrazione di un magnete fortissimo. Dopo determinate profondità l’acqua può diventare buia a causa della presenza di alghe cellulari che spesso occupano una fascia d’acqua di diversi metri in prossimità della superficie che crea una vera e propria barriera fisica per la radiazione del sole. Solamente le luci delle torce da sub che ci portiamo dietro, flebili lampioncini persi nella fredda notte intiepidiscono un po’ lo scuro avvolgente ed appena di più lo spirito.
I fasci luminosi rasentano bassi le lievi increspature del fondale e sciabolano davanti per sondare interrogativamente la sconosciuta acqua che si nasconde poco più avanti. E’ questo il punto di domanda che al tempo stesso mi “attrae e respinge”. Forse il fascino di un’immersione, e nel caso particolare di una lacustre, per me sta proprio in questi due opposti che spingono ad esplorare l‘ignoto che nella grande maggioranza delle volte non nasconde nulla di particolare. Questo è il gusto del gioco: l’eccitazione e l’incertezza della caccia sono più importanti del tesoro.
Grandi massi, scogli, tronchi, pareti di roccia, piante, carcasse di ogni tipo e dimensione d’archeologia industriale, lunghi e sfilacciati moccoli verdi d’alghe pendenti, a volte canne, larve d’insetti pulsanti come organismi marini planctonici, lenze da pesca in nylon, reti incastrate e perse, fondali sassosi e fangosi, lumache con i loro gusci, granchi e gamberi, prendono vita per il limitato tempo nel quale entrano nel cono luminoso dei fari generando dietro di loro tremolanti e danzanti ombre in movimento che subito dopo scompaiono inghiottiti nuovamente dal buio perenne.
Spesso la presenza del compagno d’immersione, reso comunque invisibile nonostante la stretta vicinanza fisica, è testimoniata solamente dal rassicurante ed amichevole rumore delle bolle che fuoriescono dal suo autorespiratore. Tutte queste sensazioni accomunate nel medesimo istante mi fanno sentire piccolissimo ed avvolto, oserei dire quasi protetto, da questa enorme massa d’acqua. Forse si risvegliano rimosse, profonde ma mai dimenticate e lontanissime memorie uterine?
Già se si paragona il movimento di un subacqueo alla velocità che si può ottenere in altre attività umane, noi siamo relegati agli ultimi posti della classifica, figurarsi farlo anche con l’acqua che offre condizioni di visibilità molto ridotte. La progressione per forza di cose allora avverrà in maniera ulteriormente rallentata. Ogni singolo movimento, demoltiplicato verrà vissuto in piena coscienza forse anche perché la vista, il senso principale che normalmente è stimolato durante un’immersione, riceve scarsissime sollecitazioni dall’esterno e quindi automaticamente lo “sguardo” viene rivolto all’interno di se, aiutandoci a sentire ogni singolo muscolo, ogni singolo respiro, ogni singolo battito del cuore, ogni singolo brivido di freddo.
Il forzato rallentamento dell’attività muscolare, a causa dello scarso movimento, non produce più il solito piacevole calore di risulta, ed allora è di fondamentale importanza essere adeguatamente coibentati. La marcia forzata a velocità ridotta allora aiutano ad amplificare le sensazioni e si impara quindi ad ascoltare sempre meglio il proprio corpo. Con questo nuovo “senso” acquisito, mantenere il “motore” al minimo dei giri per ottenere il massimo del rendimento diviene operazione di “routine” durante lo svolgimento di tuffi di questo genere. L’immediata percezione, per esempio, del lieve aumento della frequenza della pulsazione cardiaca dovrà innescare con immediatezza, nel sub pratico, una risposta che nel concreto lo porterà a rallentare l’energia muscolare investita nella pinneggiata. I pistoni del “motore“, quindi, riprenderanno il loro lento e rassicurante sommesso tambureggiare.
Il colore dell’acqua attraversa tutte le sfumature del verde, partendo da quello più chiaro della superficie a quello più scuro che si trova più in basso fino a divenire nero. Qui è quasi possibile sentire il diaframma dell’iride aperto al massimo con le proprie pupille dilatate, adattate per percepire tutte le sfumature del buio. I pesci che si incontrano, mediamente in numero nettamente minore rispetto agli affollati branchi dei cugini marini, sono più schivi e circospetti.
Solo i predatori d’eccellenza delle acque dolci i lucci, che ricordano nell‘aspetto esteriore i barracuda, spavaldamente similmente al modo di fare di bulli di quartiere, non cambiano assolutamente lato della “strada” quando incrociano le loro rotte con le nostre. Questo loro comportamento è ulteriormente rimarcato dall’insolenza delle loro inespressive pupille nere fissate su di noi fino all‘ultimo secondo come in un duello fatto di occhiatacce per far abbassare per primo lo sguardo all‘altro, chiara segnalazione di sottomissione. Sono loro i “rais” della zona e noi gli intrusi.
I colpi delle gambe sulle pinne devono essere blandi e misurati pena il sollevamento dal fondo del classico sedimento di lago simile a fango, e molto più fine rispetto a quello marino, che in pochi attimi potrebbe ridurre praticamente a zero centimetri l’orizzonte visivo oltre vetro della maschera. Sopra pavimenti di fondali lacustri con inclinazione molto accentuata basta spostare inavvertitamente un piccolo sasso per far generare una polverosa e silenziosa valanga verso il basso che, in meno che non si dica, aumenta di dimensioni e di velocità similmente come accade per le naturali valanghe di neve sopra le montagne. L’unica differenza rispetto a queste è che invece di essere candide sono di color nero.
Così come scendendo la radiazione luminosa era stata assorbita tutta dopo pochi metri di profondità, in risalita, all’improvviso, come agendo su un interruttore, un “clic” fa ritornare tutto irrorato del piacevole, ed all’inizio fastidioso per le retine, chiarore degli strati più superficiali dove abitualmente si smaltiscono gli ultimi minuti di decompressione prima di risalire all‘aria.
Ritornati nell‘ambiente naturale, si, anche i tuffi “dolci” purtroppo hanno termine, arrivati a questo punto con ancora le pinne strette tra le mani, la pesante attrezzatura addosso che sgocciolando forma una pozza d’acqua sotto i piedi e pregustando già il the ben caldo e zuccherato che attende d’esser bevuto, posso assolutamente garantire mettendoci la mano sul fuoco e scommetterci qualsiasi cifra con la matematica certezza del cento per cento di essere più che sicuri di vincere che, puntualmente, qualche passante vedendosi spuntare dall’acqua verdastra ed in apparenza poco invitante del lago poco distante inaspettatamente un sub, incuriosito ed un po’ meravigliato interrogativamente gli chiederà: “Ma nel lago, cosa c’è di bello da vedere?”
Giacinto Marchionni
La seconda cosa che si sperimenta è quella del potersi muovere liberamente nelle tre dimensioni del fluido; una cosa del tutto straordinaria per noi “terrazzani”che sin dal primo giorno nel quale veniamo alla luce ingaggiamo un perenne duello con la forza di gravità, la quale ci nega inesorabilmente la terza dimensione dello spazio.
Già queste due novità da sole basterebbero per motivare e far continuare lo straordinario viaggio dentro l’acqua, ma non mancano settori di approfondimento e di maggior interesse in diverse aree come la fotografia e la videoripresa subacquea, l’immersione su relitti, le immersioni profonde, la biologia, l’archeosub, le grotte sommerse, e le acque dolci.
Insomma, i campi di “gioco” che ci offre il mondo del silenzio sono davvero grandi e svariati con ancora ampie zone inesplorate.
Bisogna però tenere sempre presente chiaramente a mente le regole sulla fisiologia dell’immersione. Sia l’esperto sub di vecchia data che il novello sommozzatore troveranno una personalissima nicchia nella quale far galoppare a briglia sciolta la loro fantasia ed inventarsi nuovi gratificanti campi d’elezione.
E’ proprio questo, secondo me, il bello di questo gioco!
Qui vige la libertà assoluta dove non si possono mettere recinti alla creatività e, soprattutto, non si possono ingabbiare dentro schemi prefissati i progetti che ogni singolo sub è in grado di fare.
Rientrando da immersioni lacustri, frequentemente mi sento rivolgere da persone non pratiche della nostra disciplina la domanda di cosa io trovi di bello in quei posti dove abitualmente ci sono condizioni di scarsa visibilità, acqua fredda e toni decisamente meno brillanti rispetto alle multicolori scogliere marine. E’ una bella domanda alla quale è già difficile rispondere a chi pratica immersioni, naturalmente non “dolci“, figurarsi farlo con qualcuno che è proprio all’asciutto di cose da sub.
Probabilmente la motivazione iniziale che spinge un subacqueo ad immergersi nelle acque non salate è quella di trovare un’alternativa o un ripiego ad un mare con bei fondali un po' troppo lontano o poco praticabile: una necessaria valvola di sfogo all’irrefrenabile voglia di stare dentro l’acqua che tutti noi sub abbiamo.
Per quello che mi riguarda non considero il lago un ripiego o una seconda scelta rispetto al mare, assolutamente. Lo considero un ambiente con sue caratteristiche e peculiarità, con suoi colori, con sue sfumature, con proprie regole, così come il mare ne ha di diverse e più note ai sub e non.
Ricordo perfettamente come da ragazzino, ogni volta che durante una gita si visitava un bacino lacustre, si affacciava nella mia mente quell’indelebile domanda: cosa può esserci sotto quello specchio d’acqua? Ecco... è proprio questa la mia motivazione primaria, la curiosità. La stessa identica ed immutata curiosità di allora, la curiosità di scoprire cosa c’è in un luogo che non conosco. Sia esso all’aria o sott’acqua, ed in quest’ultima situazione non vi è differenza se si tratta di acqua salata o dolce.
Per le già citate condizioni di visibilità ridotta e per la temperatura più bassa del liquido, nell’immersione in un bacino d’acqua dolce si incontrano oggettivamente condizioni più severe ed impegnative rispetto a quelle che mediamente si trovano nelle immersioni in mare. La protezione dal freddo ha la priorità assoluta, così come l’abitudine all’utilizzo della bussola sott‘acqua. Abilità che può essere fondamentale per trarsi d’impaccio in quelle situazioni molto facili a trovarsi di acque che offrono di colpo un limitato campo visivo, similmente a come accade trovandosi in piena nebbia dentro un bosco quasi del tutto sconosciuto.
Riuscire a conoscere grazie alla bussola quale direzione si sta prendendo e controllare la quota alla quale ci si trova, sono pratiche fondamentali quando ci si ritrova nella fitta bruma del sedimento subacqueo che quasi annulla gli spazi visivi. Inoltre queste pratiche aiutano a scacciare i fantasmi che la mente può crearsi da sola in questi parametri particolari.
Per muoversi in acqua in queste condizioni occorre oltre che un buon addestramento anche molta pratica da sviluppare seguendo la politica propedeutica dei piccoli anzi, meglio ancora, piccolissimi passi. Con il tempo e con l’assiduo esercizio la gestione dell’orientamento in acqua con scarsa visibilità diventerà non dico una passeggiata, questo mai, ma sicuramente più abbordabile. La ripetizione dei gesti porterà ad un condizionamento tale che la poca o la scarsa visibilità saranno vissute dal sub prevalentemente come un fattore oggettivo dell’immersione verso il quale prendere le opportune contromisure, e non più come un elemento fortemente stressante.
Mi sento di poter affermare tranquillamente che la piena presa di coscienza della tecnica della navigazione con la bussola in acque molto torbide assicura al sommozzatore una padronanza della situazione che lo allontana di parecchio dalla sensazione interiore, spesso non oggettiva e non reale, di tangibilissima tensione.
Il superamento di questa fase che si accompagna alla falsa sensazione di aver acquisito preziosissime e “soprannaturali” abilità subacquee, porta ad un umanissimo sentimento di egocentrico narcisismo che si spera “vivamente,” duri solamente il tempo necessario per rendersi conto che non si è stati presi a benvolere da un qualche portaborse di Nettuno, Poseidone o altri dei delle acque profonde, ma che si è diventati più semplicemente un po’ meno goffi, e non più bravi, come penetratori di fondali lacustri.
La memorizzazione della zona d‘immersione, previa visione e studio a secco della carta del lago con le quote batimetriche, aiuterà ulteriormente il sub che così avrà acquisito un ulteriore tassello degli scenari che incontrerà per la riuscita della sua immersione programmata. Ora, con questo bagaglio d’esperienza e con un’adeguata protezione contro il freddo, un sub appassionato ed assiduo praticante può spingersi dentro le acque dolci e spessissimo buie di un qualsiasi lago. Il campo di “gioco” non attende altro che di essere esplorato con quel pizzico di perenne curiosità che “dovrebbe” invogliare ognuno a nuove piccole o grandi scoperte.
Per quello che mi riguarda quando parlo di scoperte subacquee non intendo solamente ritrovamenti di relitti o di chissà quali tesori sommersi, magari! In una vita d’immersioni il più fortunato dei fortunati quando ne trova uno solamente può davvero dire di aver toccato il cielo con un dito. Intendo più semplicemente la scoperta, per esempio, di una nuova zona di fondale che non si era mai vista prima. Posare gli occhi per la prima volta su posti nuovi di certo solletica e gratifica la mia curiosità oltre misura. Questo è l’innesco che naturalmente è perennemente acceso per il mio carburante.
Lievitare sospesi a qualche spanna dal fondale che con forte inclinazione scivola via sotto di me perdendosi invisibilmente non si sa dove: sia nel mare azzurro o in un lago nero l’emozione è sempre la stessa, come l’attrazione di un magnete fortissimo. Dopo determinate profondità l’acqua può diventare buia a causa della presenza di alghe cellulari che spesso occupano una fascia d’acqua di diversi metri in prossimità della superficie che crea una vera e propria barriera fisica per la radiazione del sole. Solamente le luci delle torce da sub che ci portiamo dietro, flebili lampioncini persi nella fredda notte intiepidiscono un po’ lo scuro avvolgente ed appena di più lo spirito.
I fasci luminosi rasentano bassi le lievi increspature del fondale e sciabolano davanti per sondare interrogativamente la sconosciuta acqua che si nasconde poco più avanti. E’ questo il punto di domanda che al tempo stesso mi “attrae e respinge”. Forse il fascino di un’immersione, e nel caso particolare di una lacustre, per me sta proprio in questi due opposti che spingono ad esplorare l‘ignoto che nella grande maggioranza delle volte non nasconde nulla di particolare. Questo è il gusto del gioco: l’eccitazione e l’incertezza della caccia sono più importanti del tesoro.
Grandi massi, scogli, tronchi, pareti di roccia, piante, carcasse di ogni tipo e dimensione d’archeologia industriale, lunghi e sfilacciati moccoli verdi d’alghe pendenti, a volte canne, larve d’insetti pulsanti come organismi marini planctonici, lenze da pesca in nylon, reti incastrate e perse, fondali sassosi e fangosi, lumache con i loro gusci, granchi e gamberi, prendono vita per il limitato tempo nel quale entrano nel cono luminoso dei fari generando dietro di loro tremolanti e danzanti ombre in movimento che subito dopo scompaiono inghiottiti nuovamente dal buio perenne.
Spesso la presenza del compagno d’immersione, reso comunque invisibile nonostante la stretta vicinanza fisica, è testimoniata solamente dal rassicurante ed amichevole rumore delle bolle che fuoriescono dal suo autorespiratore. Tutte queste sensazioni accomunate nel medesimo istante mi fanno sentire piccolissimo ed avvolto, oserei dire quasi protetto, da questa enorme massa d’acqua. Forse si risvegliano rimosse, profonde ma mai dimenticate e lontanissime memorie uterine?
Già se si paragona il movimento di un subacqueo alla velocità che si può ottenere in altre attività umane, noi siamo relegati agli ultimi posti della classifica, figurarsi farlo anche con l’acqua che offre condizioni di visibilità molto ridotte. La progressione per forza di cose allora avverrà in maniera ulteriormente rallentata. Ogni singolo movimento, demoltiplicato verrà vissuto in piena coscienza forse anche perché la vista, il senso principale che normalmente è stimolato durante un’immersione, riceve scarsissime sollecitazioni dall’esterno e quindi automaticamente lo “sguardo” viene rivolto all’interno di se, aiutandoci a sentire ogni singolo muscolo, ogni singolo respiro, ogni singolo battito del cuore, ogni singolo brivido di freddo.
Il forzato rallentamento dell’attività muscolare, a causa dello scarso movimento, non produce più il solito piacevole calore di risulta, ed allora è di fondamentale importanza essere adeguatamente coibentati. La marcia forzata a velocità ridotta allora aiutano ad amplificare le sensazioni e si impara quindi ad ascoltare sempre meglio il proprio corpo. Con questo nuovo “senso” acquisito, mantenere il “motore” al minimo dei giri per ottenere il massimo del rendimento diviene operazione di “routine” durante lo svolgimento di tuffi di questo genere. L’immediata percezione, per esempio, del lieve aumento della frequenza della pulsazione cardiaca dovrà innescare con immediatezza, nel sub pratico, una risposta che nel concreto lo porterà a rallentare l’energia muscolare investita nella pinneggiata. I pistoni del “motore“, quindi, riprenderanno il loro lento e rassicurante sommesso tambureggiare.
Il colore dell’acqua attraversa tutte le sfumature del verde, partendo da quello più chiaro della superficie a quello più scuro che si trova più in basso fino a divenire nero. Qui è quasi possibile sentire il diaframma dell’iride aperto al massimo con le proprie pupille dilatate, adattate per percepire tutte le sfumature del buio. I pesci che si incontrano, mediamente in numero nettamente minore rispetto agli affollati branchi dei cugini marini, sono più schivi e circospetti.
Solo i predatori d’eccellenza delle acque dolci i lucci, che ricordano nell‘aspetto esteriore i barracuda, spavaldamente similmente al modo di fare di bulli di quartiere, non cambiano assolutamente lato della “strada” quando incrociano le loro rotte con le nostre. Questo loro comportamento è ulteriormente rimarcato dall’insolenza delle loro inespressive pupille nere fissate su di noi fino all‘ultimo secondo come in un duello fatto di occhiatacce per far abbassare per primo lo sguardo all‘altro, chiara segnalazione di sottomissione. Sono loro i “rais” della zona e noi gli intrusi.
I colpi delle gambe sulle pinne devono essere blandi e misurati pena il sollevamento dal fondo del classico sedimento di lago simile a fango, e molto più fine rispetto a quello marino, che in pochi attimi potrebbe ridurre praticamente a zero centimetri l’orizzonte visivo oltre vetro della maschera. Sopra pavimenti di fondali lacustri con inclinazione molto accentuata basta spostare inavvertitamente un piccolo sasso per far generare una polverosa e silenziosa valanga verso il basso che, in meno che non si dica, aumenta di dimensioni e di velocità similmente come accade per le naturali valanghe di neve sopra le montagne. L’unica differenza rispetto a queste è che invece di essere candide sono di color nero.
Così come scendendo la radiazione luminosa era stata assorbita tutta dopo pochi metri di profondità, in risalita, all’improvviso, come agendo su un interruttore, un “clic” fa ritornare tutto irrorato del piacevole, ed all’inizio fastidioso per le retine, chiarore degli strati più superficiali dove abitualmente si smaltiscono gli ultimi minuti di decompressione prima di risalire all‘aria.
Ritornati nell‘ambiente naturale, si, anche i tuffi “dolci” purtroppo hanno termine, arrivati a questo punto con ancora le pinne strette tra le mani, la pesante attrezzatura addosso che sgocciolando forma una pozza d’acqua sotto i piedi e pregustando già il the ben caldo e zuccherato che attende d’esser bevuto, posso assolutamente garantire mettendoci la mano sul fuoco e scommetterci qualsiasi cifra con la matematica certezza del cento per cento di essere più che sicuri di vincere che, puntualmente, qualche passante vedendosi spuntare dall’acqua verdastra ed in apparenza poco invitante del lago poco distante inaspettatamente un sub, incuriosito ed un po’ meravigliato interrogativamente gli chiederà: “Ma nel lago, cosa c’è di bello da vedere?”
Giacinto Marchionni
lunedì 25 febbraio 2013
--immersioni: "+4°"
La strada più che conosciuta scorre sotto le gomme dell’auto mentre Federiko ed io inganniamo il tempo chiacchierando oltre che del più e del meno, anche di svariate amenità, utili anche loro in una giornata di svago.
Nonostante il riscaldamento dell’auto, ci rendiamo conto che la temperatura esterna deve essere bassa perché il fondo stradale in certe zone è patinato di un sottilissimo strato di brina...
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Lago di Scanno,
racconto
domenica 17 febbraio 2013
--immersioni: "CHI HA TOLTO IL TAPPO ?"
Nonostante il livello molto basso dell'acqua per manutenzione alle opere della diga giù a valle, grazie ad un "avvicinamento al greto del bacino un po' lavorato", comunque sono riuscito ad immergermi.
Alla fine del tuffo, l'uscita dal lago e la risalita del ripido e scivolosissimo pendio con sulle spalle una quarantina di chili e passa d'attrezzatura subacquea, con delicati passi d'equilibrio, posso personalmente assicurare essere stati di stampo decisamente ... alpinistico !
martedì 12 febbraio 2013
^^montagna: "IL BALCONE SUI MONTI"
Da Castrovalva (820 mt), una lunga salita scialpinistica fino al Rognone (2093 mt), che dalla sua sommità offre un vero e proprio balcone panoramico su tutti i monti attorno.
Già dall'inizio della gita scialpinistica la cima da raggiungere nell'aria tersa che inganna, sembra essere davvero a portata, lasciando la mente libera di pensare che in fonodo non ci vorrà mica poi tanto a raggiungerla.
Nulla di più ingannevole.
Durante la traccia che si snoda sempre più dietro le code degli sci ed il tempo che si allunga, inesorabilmente la cima sembra avere sempre la stessa dimensione.
Le prospettive a causa del manto nevoso e del sole, non rendono giustizia alle distanze reali e la fatica nelle gambe inizia a farsi sentire.
Come accade spesso in montagna, nell'ultimo strappo che porta in vetta bisogna percorrere un'erta sulla quale la pendenza, seppur di poco, incrementa.
Ancora un ultimo sforzo e finalmente, dopo quattro ore dalla partenza, siamo sul Rognone accolti da una temperatura di 15° sotto zero, resa ancor più pungente da un vento teso.
Prima di concederci il meritato breve riposo e di rifocillarci, decidiamo di scendere un po' di quota per trovare condizioni un po' più clementi.
La bassa temperatura ha però un effetto positivo sulla neve rendendola soffice e morbida da sciare: è davvero un piacere serpeggiarci sopra.
Già dall'inizio della gita scialpinistica la cima da raggiungere nell'aria tersa che inganna, sembra essere davvero a portata, lasciando la mente libera di pensare che in fonodo non ci vorrà mica poi tanto a raggiungerla.
Nulla di più ingannevole.
Durante la traccia che si snoda sempre più dietro le code degli sci ed il tempo che si allunga, inesorabilmente la cima sembra avere sempre la stessa dimensione.
Le prospettive a causa del manto nevoso e del sole, non rendono giustizia alle distanze reali e la fatica nelle gambe inizia a farsi sentire.
Come accade spesso in montagna, nell'ultimo strappo che porta in vetta bisogna percorrere un'erta sulla quale la pendenza, seppur di poco, incrementa.
Ancora un ultimo sforzo e finalmente, dopo quattro ore dalla partenza, siamo sul Rognone accolti da una temperatura di 15° sotto zero, resa ancor più pungente da un vento teso.
Prima di concederci il meritato breve riposo e di rifocillarci, decidiamo di scendere un po' di quota per trovare condizioni un po' più clementi.
La bassa temperatura ha però un effetto positivo sulla neve rendendola soffice e morbida da sciare: è davvero un piacere serpeggiarci sopra.
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Castrovalva,
MONTE ROGNONE
domenica 3 febbraio 2013
^^ montagna: "MONTE MILETO"
Le previsioni meteo annunciavano un peggioramento del tempo nel pomeriggio, ed allora ci siamo indirizzati a Passo San Leonardo per un breve giro scialpinistico fino al Monte Mileto (1920 mt).
Nonostante il forte vento sulla linea di cresta e lo stato della neve che andava dal crostoso/ghiacciato al marcio/pesante, comunque l'escursione è risultata interessante.
I meteorologi "azzeccavano" in pieno: verso le 15.00 il cielo si copriva definitivamente ed iniziava a nevischiare quando noi oramai stavamo giungendo in prossimità del rifugio "Celidonio" dove degnamente poi recuperavamo energie.
domenica 13 gennaio 2013
^^montagna: "MONTI DELLA MAGNOLA"
Siamo saliti da Forme, per Peschio Rovicino, la Sentinella ed il rifugio Gigi Panei fino alla Magnola (2220 mt), per poi chiudere l'anello scendendo nelle imponenti valli Genzana e Majelama.
Con i suoi spazi, i suoi silenzi e la sua severa bellezza, la montagna è capace di dare tranquillità.
Dedicato a mia Madre.
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