Scendemmo di fronte al muro della falesia subacquea fino ad una decina di metri di profondità dove si apriva l'ingresso della grotta marina che ci accingemmo a visitare. Con Mirko, un esperto conoscitore della zona che faceva da battistrada, ci infilammo l'uno dietro l'altro in un piccolo tunnel dal fondo abbastanza pulito sulla cui volta superiore, ad un certo punto, si apriva una finestra che lasciava filtrare una bella luce azzurrognola... Percorremmo quel corridoio lasciandoci dietro quell'alone per giungere in una piccola "cameretta" apparentemente senza sfoghi. Alzando lo sguardo, però, in alto c'era un cunicolo, mentre sotto le nostre pinne un "pozzo" si apriva all'interno delle viscere delle rocce del promontorio di CAPO PALINURO. Ancora un O.K. reciproco prima di scendere sempre uno per volta. Praticissimo della cavità andò avanti lui. Lo spazio era esiguo e consentiva il passaggio di un solo sub per volta in posizione eretta. Andammo giù con le bolle della mia guida che risalendo mi solleticavano il viso. Piano, urtando continuamente il corpo e le bombole contro le gibbosità del rocce intorno a noi, giungemmo fino a circa 25 metri di profondità. Facemmo una breve sosta prima di continuare la "penetrazione". Il cunicolo pareva allargare appena un po' il suo diametro. 37, 40 metri, Mirko si fermò. Per non affollarci in uno spazio veramente esiguo lo attesi qualche metro sopra. Mi segnalò l'O.K. e solo allora lo raggiunsi anch'io sul fondo a 42 metri. Poggiati in ginocchio ci guardammo intorno, eravamo arrivati alla base del tratto verticale dove potemmo notare un ulteriore cunicolo che con moderata pendenza scivolava ancora verso il basso. Come da programma eravamo giunti al capolinea del nostro tuffo in questa cavità chiamata GROTTA SCALETTA. Per noi era arrivato il momento di tornare indietro. Prima di iniziare la risalita sostammo un paio di minuti con le torce subacquee completamente spente dentro il nero assoluto che ci avvolgeva. L'unica sfocata e labile luminosità era quella che proveniva dalle sfere fosforescenti dell'orologio da sub al mio polso, precedentemente "eccitate" dai fari da immersione. Il tempo pareva essersi fermato, solo il rumore delle bolle di scarico che uscivano dagli autorespiratori, ci teneva compagnia in quel buio limbo. Il click della riaccensione delle luci fermò quel magico momento. Ripercorremmo lo stretto pertugio verso l'alto e, facendoci strada come lombrichi, avanzammo serpeggiando lentamente fino a ritrovare la "saletta" dalla quale avevamo iniziato la discesa dentro il budello. Ripercorremmo il tunnel d'ingresso. Sulla volta vedemmo le bolle d'aria del viaggio d'andata tinteggiare d'argento il soffitto di calcare. Proveniendo dal nero, i primi bagliori di luce naturale che colpirono gli occhi furono fastidiosi. Una volta usciti fummo accolti dal solito brulicare della vita mediterranea che si affollava sulla scogliera. Immersione fatta nel settembre del 1998.
DIVING & MOUNTAINS
Quando
mia figlia
era piccola,
un giorno
una signora
troppo curiosa
le chiese:
"MA CHE LAVORO FA
IL TUO PAPA' ?"
Lei ci pensò
un po' su.
Poi le rispose:
"LE IMMERSIONI
IN MONTAGNA !"
- Giacinto "zeta zeta" Marchionni
- PESCARA, PE - Pescara, Italy
Da sempre appassionato d'immersioni che ho iniziato in apnea e dal 1981 con autorespiratori ad aria, ossigeno e circuito chiuso. Nel poco tempo rimanente mi arrampico sopra qualche montagna.
Tuffi e scalate li racconto con "filmetti", parole e foto.
martedì 22 settembre 1998
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